Gli Istituti Confucio, “cavalli di Troia” dell’egemonia cinese
Pechino (AsiaNews) - Dopo un periodo di relativa calma, la promozione operata da Pechino sin dal 2004 a favore di un numero sempre in espansione di Istituti Confucio (IC) in giro per il mondo è tornata di nuovo all'attenzione della comunità internazionale. Secondo il Rapporto annuale 2011 pubblicato dal quartier generale degli Istituti, esistono 112 IC e 324 Classi di studio Confucio in America settentrionale e meridionale; di questi, 81 IC e 299 Classi sono negli Stati Uniti.
Il 17 maggio, il Dipartimento di Stato americano ha emesso un documento secondo cui gli insegnanti cinesi in possesso di un visto J-1 stavano violando le norme di accesso e di scambio americane, dato che stavano operando al di fuori delle istituzioni che avrebbero dovuto ospitarli. Il Dipartimento ha aggiunto che non avrebbe rinnovato il visto a 51 insegnanti cinesi, e questo annuncio ha irritato la Cina.
Dopo una settimana il Dipartimento ha chiarito la situazione e si è scusato in maniera pubblica per la controversia nata da questo incidente, arrivando a sottolineare che le attività degli IC sono in linea con la legge federale 22 Cfr 62.20. Ma la disputa ha acceso i riflettori sullo sviluppo dei rapporti sino-americani e ha dimostrato che questi non sono calmi e stabili come la superficie farebbe pensare. Controversie simili, come quella degli Istituti, devono essere ancora analizzate in pieno.
Gli Istituti Confucio non insegnano il Confucianesimo
Il numero di IC in tutto il mondo ha raggiunto, nel maggio 2012, la cifra di 858 unità: di questi, 358 sono Istituti e 500 classi. Oltre a quelli negli Stati Uniti ci sono, per esempio, 83 IC sparsi in 30 nazioni asiatiche; 122 in quelle europee e 25 in Africa. Il bilancio annuale per gli Istituti, secondo le statistiche ufficiali, è arrivato a 164 milioni: un dato che aumenta grazie ai fondi locali. Il numero è ancora in crescita, ma il fatto che aumentino non garantisce agli IC una popolarità globale.
Non molte persone hanno familiarità con la funzione e le operazioni portate avanti dagli Istituti. Qualcuno li considera persino (sbagliando) delle istituzioni religiose o delle unità impegnate nello studio del Confucianesimo. Secondo le interviste e il lavoro sul campo condotto dagli autori di questo studio in più di 10 Istituti, sparsi in 8 Paesi, negli IC non si studia né si diffonde il Confucianesimo. Tuttavia, gli autori li considerano uno strumento indispensabile per l'attenta promozione di quella diplomazia soft portata avanti da Pechino: generosità estrema per i Paesi ospiti a cui si attaccano sempre delle strisce di propaganda.
Gli obiettivi di questi Istituti sono abbastanza chiari, persino ammirevoli: fornire progetti per l'insegnamento della lingua cinese insieme a strategie culturali, sociali e persino diplomatiche. Questi eventi e attività incidentali sono importanti perché trascendono i programmi di insegnamento della lingua con trasmissioni culturali transnazionali con o senza un'intenzione politica specifica.
Come sostiene il noto (e controverso) esperto di affari cinesi Steven Mosher, presidente del Population Research Institute (Pri), gli Istituti potrebbero essere "cavalli di Troia che vogliono indottrinare i giovani americani e convincerli a credere che lo Stato e il Partito cinese non sono una minaccia per il proprio popolo e, in senso più ampio, per il mondo intero". Un argomento simile viene da Glenn Anthony May, che ha tenuto sotto osservazione gli IC sin dalla loro nascita.
May sostiene che esistano 3 parole "T" che il governo cinese ritiene un anatema: Taiwan, Tibet e Tiananmen. Questi argomenti "T" sono politicamente sensibili e molto controversi in Cina e, com'è ovvio, con ogni probabilità non saranno introdotti, discussi o dibattuti nei materiali di insegnamento, nelle classi o nelle attività collaterali. Da questo punto di vista la missione e l'obiettivo degli Istituti sono di conseguenza molto chiari: migliorare e ridisegnare l'immagine della Cina. La nuova immagine della Cina, come è chiaro, viene ricalibrata dal governo di Pechino.
Negli ultimi anni gli uffici di controllo degli Istituti (gli Hanban) hanno iniziato ad accelerare l'espansione degli Istituti e rinforzare l'importanza strategica dei programmi che hanno negli IC il proprio fulcro. Rilanciando la propria pubblicità attraverso vari canali e focalizzandosi sugli Studi cinesi - per esempio la medicina tradizionale, l'economia e persino la danza - le elite cinesi sembrano voler convogliare verso un pubblico internazionale la propria idea politica di "armonia senza varietà".
Oltre al numero sempre in crescita di Istituti, in maniera graduale Pechino ha preso in considerazione la qualità potenziale di ogni istituto per servire meglio gli interessi strategici della "Diplomazia culturale globale" e della "Popolarizzazione della cultura cinese intorno al mondo". Ad esempio i Centri culturali cinesi e gli Istituti sono citati come importanti meccanismi del programma culturale diplomatico nel testo - pubblicato il 16 febbraio - dal titolo "Dodicesimo piano quinquennale per l'economia nazionale e lo sviluppo sociale".
Equipaggiare la diplomazia "soft" con la cultura cinese?
Gli Istituti Confucio sono istituti di linguaggio che dovrebbero lavorare in maniera esclusiva sull'educazione alla lingua cinese e sulla promozione culturale. Il loro scopo, tuttavia, è molto più ambizioso di questo. La diffusione degli Istituti è sostenuta all'interno del Paese dallo scopo di usarli come mezzi per la diplomazia "soft". La rete di relazioni compresa all'interno dei Confucio corrisponde alla diplomazia di Pechino, e la strategia è di pubblicizzare la Cina e la sua immagine in crescita "civilizzata, democratica, aperta e progressista" in giro per il mondo.
Fra gli accademici, i centri studio e la comunità politica in Cina si sono ripetuti e sottolineati alcuni argomenti secondo cui lo scopo globale degli Istituti mira a uno scambio culturale a due direzioni, al posto di una trasmissione culturale mono-direzionale. Con le risorse adeguate, gli IC sono stati investiti dal governo cinese della missione di diffondere il potere "soft" e di ridefinire l'immagine della Cina sul palcoscenico internazionale. Gli Istituti ottengono due scopi importanti, mentre perseguono questo obiettivo.
Il primo traguardo è quello di condurre programmi per quei professionisti che insegnano cinese sul luogo, come in Cambogia e Thailandia. L'orientamento attuale degli Istituti è quello di continuare a coltivare l'educazione alla lingua cinese tramite materiali di insegnamento abbozzati e l'addestramento degli insegnanti. Nel fare questo viene facilitata una comprensione legittima della Cina e della cultura e società cinese approvata dal governo. Il secondo traguardo è rappresentato dalla collaborazione degli IC con alcuni istituti specifici per gli studi cinesi degli Stati Uniti e dell'Europa. In questo modo è possibile che essi ottengano un'impressione più favorevole per la Cina nelle comunità linguistiche.
La propaganda implicita diventa sempre più esplicita e mirata, mentre gli Istituti si espandono a livello globale. Alcune critiche internazionali sottolineano persino che la Cina sia divenuta incapace di nascondere questa agenda politica e gli interessi strategici che si annidano dietro gli Istituti e gli scambi culturali.
La cultura tradizionale è la fonte più importante di potere "soft" di tutta la Cina. Sembra che negli ultimi anni il Confucianesimo sia stato promosso in Cina e all'estero dal governo cinese, che lo ha spinto come un codice morale per la Cina moderna. Tuttavia, la configurazione emergente della cultura cinese - caratterizzata da tratti sia tradizionali che contemporanei - è lo strumento meno aggressivo e più efficace. Se ammettiamo che gli Istituti sono irrilevanti per la comprensione del Confucianesimo, allora dobbiamo ammettere anche che le persone che li frequentano vengono educate e coltivate da una versione selettiva della cultura cinese, contornata di propaganda e controllata dal governo cinese.
Le attività e gli eventi culturali attivati ed esibiti dagli IC sono facilitate in una maniera politicamente armoniosa, dato che intendono contribuire soltanto alla parte ideale dello sviluppo della Cina. È interessante notare che questi dati ricordano gli autori della propaganda degli anni Quaranta, quando il Partito usava i poster politici per "propagare il corretto pensiero e la corretta azione". Questi materiali erano considerati gli strumenti educativi per coltivare il popolo e spiegargli cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Come sostiene Stefan R. Landsberge, la propaganda esiste "dato che lo Stato fornisce esempi di comportamento corretto. Questo in maniera automatica impone alla popolazione di credere ciò che loro ritengono che debba credere". Tuttavia noi dubitiamo con forza che gli Istituti e le attività a loro correlate stiano mischiano la trasmissione culturale con una propaganda mirata ed esplicita.
Promuovere la cultura cinese per servire gli interessi nazionali della Cina sembra essere uno strumento efficace che può ricalibrare la comprensione della Cina e migliorare l'utilizzo della diplomazia soft. Negli ultimi anni il mondo accademico cinese ha rafforzato questo sviluppo formulando una versione cinese del "potere soft" mentre la comunità politica di Pechino si è impegnata per equipaggiare la diplomazia e il fronte unito dei lavoratori con le tradizionali - se approvate dal governo - idee culturali. La diffusione degli Istituti potrebbe non far sparire però l'immagine di una Cina che non sostiene i diritti umani e sopprime le politiche democratiche. Questo tipo di contraddizioni e differenze potrebbero indebolire l'efficacia della diplomazia del potere "soft".
La politicizzazione del nazionalismo culturale
Cercare di comprendere gli Istituti Confucio attraverso i canali nazionali o internazionali potrebbe produrre molte differenze. Le fonti internazionali riflettono pensieri, dubbi e dibattiti sul fenomeno, mentre i canali cinesi sono spesso pieni di complimenti e sostegno per il lavoro degli IC. Solo di rado si vedono delle critiche interne alle infrastrutture degli Istituti. Se e quando queste critiche appaiono, vengono biasimate come un rifiuto del nazionalismo culturale. Negli ultimi anni gli intellettuali cinesi hanno incubato un'auto-critica culturale e politica sul nazionalismo culturale, ma questo non può giustificare la correttezza politica nella difesa degli interessi nazionali cinesi.
L'aumento degli Istituti non può essere compreso in maniera esclusiva nel tentativo cinese di ridisegnare la propria storia, lingua e cultura. Come ha detto qualche tempo fa in un'intervista il famoso storico Yu Yingshi, anche se la Cina ha stabilito in maniera attiva gli Istituti non vuol dire che Pechino intenda rinforzare e riportare in vita la cultura confuciano-centrica. Una parte della leadership cinese insiste persino nel portare avanti slogan anti-confuciani, un fenomeno più critico. Per il Partito comunista sembra essere molto difficile mettere da parte alcuni caposaldi del passato, come "Buttate i Quattro vecchi e coltivate i Quattro nuovi", "Critica Lin (Biao), critica Confucio"; e "La grande rivoluzione culturale proletaria". La Cina sostiene con vigore l'impegno degli Istituti all'estero ma la sua ideologia non cambia, e questo indebolisce il legame fra gli Istituti stessi e i valori fondanti del Confucianesimo, persino con la cultura tradizionale cinese.
Nonostante il loro ruolo del promuovere nel mondo la cultura cinese, nessuno potrebbe sostenere in maniera arbitraria che gli Istituti debbano essere coinvolti nelle attività di intelligenze o debbano operare con un intento politico specifico, come dicono alcuni critici. Noi sosteniamo però che gli IC non contribuiscono in maniera reale alla corretta comprensione della vera faccia della Cina. Le elite politiche cinesi hanno da lungo tempo politicizzato il significato storico e politico di Confucio in nome della diplomazia pubblica. E questa ignoranza è stata convertita nell'agenda degli Istituti, che hanno come unico valore il "marchio Confucio" da unire con la modernità culturale e il pragmatismo linguistico.
L'avanzata degli Istituti Confucio ha facilitato l'avanzata del "potere soffice" di Pechino verso il mondo, ma la propaganda che lo circonda e la missione politicizzata del suo operato ha inevitabilmente fatto aumentare le preoccupazioni e i dubbi riguardo il nazionalismo culturale cinese che cerca di divenire globale. Non soltanto da parte delle nazioni che ospitano gli Istituti, ma anche dal resto del mondo.