17/07/2014, 00.00
GIAPPONE
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Giappone: gli immigrati ,"chiave" dello sviluppo economico e sociale

di Pino Cazzaniga
Da tempo analisti ed esperti avvertono del rischio insito nell'invecchiamento della popolazione e nel bassissimo tasso di natalità: combinati, i due fattori potrebbero distruggere in 50 anni la competitività della nazione. La Chiesa cattolica è chiamata a operare in questo ambito, dando il suo contributo.

Tokyo (AsiaNews) - L'invecchiamento della società e la carenza di manodopera "indigena" mettono a rischio lo sviluppo economico del Giappone. Questi problemi non sono più oramai oggetto di studio soltanto per economisti e sociologi, ma sono diventati temi di conversazione quotidiana anche per la gente comune.

Benché non si tratti di problemi nuovi, la  loro soluzione è divenuta indilazionabile per almeno due motivi: primo perché è in corso la ricostruzione edilizia e stradale di una vasta zona del nord-est del paese (il Tohoku); secondo perché Tokyo è stata scelta come sede per le Olimpiadi del 2020. La realizzazione dei due programmi è importante sia dal punto di vista dell'economia che dell'immagine della nazione. Ma essa incontra un grande ostacolo nella insufficienza numerica del personale operaio.

L'economista William Barriga, in un recente sudio pubblicato sul The JapanTimes, scrive che "il rapido invecchiamento della società, assieme alla massiccia diminuzione della natalità, sono problemi che devono essere affrontati con decisione adesso. Altrimenti fra cinquant'anni la popolazione giapponese sarà così diminuita che per il Paese sarà difficile mantenere la forza economica  a livello internazionale."

La chiave per affrontare efficacemente il problema sembra essere il ricorso alla manodopera degli stranieri. Come è noto il Giappone è geloso della sua identità che, in fondo, è anche uno dei segreti  della sua efficienza economica. Ed è forse per questo motivo che a livello di governo non si è parlato chiaramente di questa necessità.

Tuttavia, dalla documentazione ufficiale degli ultimi decenni, appare chiaro che l'opzione del ricorso alla  manovolanza straniera è la strada che il governo ha scelto e persegue da decenni. Nel 1983 è stato introdotto il "technical intern training program" per sostenere i giovani stranieri nell'apprendimento della lingua giapponese oltre che nell'acquisizione di abilita' tecniche.

Nel 2008, grazie all' Economic Partnership Agreements con l'Indonesia e le Filippine, un numero considerevole di infermiere  e assistenti sociali di quei due Paesi hanno ottenuto di poter risiedere e trovare impiego in Giappone. Nel 2012, poi, il governo  ha introdotto un sistema di immigrazione basato sui punti per lavoratori stranieri altamente qualificati.

Grazie a questi provvedimenti legislativi sia i settori pubblici che quelli privati hanno acquisito notevole esperienza nel trattare con gli stranieri.

Inoltre negli anni '70 il Giappone ha cominciato ad aprire le porte ai rifugiati politici provenienti dall'Indocina e nel 1981 ha aderito alla Refugee convention, documento emanato dall'ONU nel 1951. Il Giappone è stata la prima nazione dell'Asia ad aderirvi.

Nel 2009 ha poi introdotto le cosiddette "bridging schools" per integrare nell'instruzione scolastica i bambini dei genitori straniteri residenti in Giappone, colpiti dalla grave crisi econnomica degli anni 2008-2009.

Tuttavia, osserva Barriga, non ci si può aspettare che il governo faccia tutto: è necessario che partecipi tutta la società. L'immigrazione è molto più che un'equazione matematica. Per realizzare questo, il governo deve essere molto attivo nell'informare ed educare i cittadini circa la realtà dell'immigrazione e il contributo positivo degli stranieri e per eliminare discriminazioni ed eventuale xenofobia.

In questo campo, alla Chiesa cattolica si offre un'altra occasione preziosa per esercitare la sua missione in questo Paese: non la può disattendere. Direi, anzi, che essa si trova in una posizione privilegiata per parteciparvi con efficacia. Il motivo è semplice: i suoi missionari da decenni vivono e lavorano in tutte le principali città dell'arcipelago nipponico, stimati e ben voluti dai giapponesi dei quali parlano e comprendono bene la lingua.

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