Gaza: anche il cristiano thai Watchara Sriaoun fra gli ostaggi liberati da Hamas
Nel quadro della tregua rilasciati oggi cinque thai e tre israeliani, fra i quali Agam Berger. Polemiche dal governo Netanyahu per le modalità. Nel fine settimana scarcerato da Israele il “decano dei prigionieri palestinesi”, che ha trascorso 40 anni in prigione. Le sue prime parole: "Ai nipoti dico: no alla lotta armata"
Gerusalemme (AsiaNews) - Dopo una lunga attesa, e le preghiere della famiglia, nel villaggio di Kut Yang, provincia di Udon Thani, un angolo sperduto nel nord-est della Thailandia, è un momento di festa: fra gli ostaggi liberati a Khan Younis oggi da Hamas e Jihad islamica, dal 7 ottobre 2023 ostaggio a Gaza, vi è infatti anche il cristiano Watchara Sriaoun. Assieme ai quatto connazionali Pongsak Thaenna, Sathian Suwannakham, Bannawat Seathao e Surasak Lamnao, e i tre cittadini israeliani Gadi Moses, Arbel Yehud e la soldatessa Agam Berger ha potuto lasciare la Striscia dove ha trascorso oltre 15 mesi in cattività. Una liberazione contraddistinta da polemiche, col premier Benjamin Netanyahu che ha definito “sconvolgenti” le immagini dei rapiti e bollato di “crudeltà impensabile” il movimento palestinese.
Dall’attacco di Hamas allo Stato ebraico il 7 ottobre 2023, che ha causato 1200 vittime sul versante israeliano e innescato un conflitto sanguinoso nella Striscia con almeno 48mila morti, soprattutto civili fra cui donne e bambini, il tema degli ostaggi è stato fra i più controversi e dibattuti. Una questione che è diventata nel tempo anche scontro politico fra la destra radicale, che preme per il proseguimento della guerra anche a discapito della liberazione dei sequestrati, e le famiglie che per mesi hanno chiesto all’esecutivo ogni sforzo per il loro ritorno. Una speranza alimentata dalla tregua, con scambio fra prigionieri palestinesi e ostaggi, parte dei quali è costituita da migranti asiatici, dalla Thailandia al Nepal, il “volto dimenticato” e spesso ai margini di questa tragedia.
Appena ricevuta notizia della liberazione, la madre del lavoratore migrante cristiano ha esultato: “È confermato, mio figlio non è morto. Grazie a Dio” ha esclamato fra i singhiozzi di felicità e sollievo Wiwwaro Sriaoun. “Lo abbraccerò quando lo vedrò. Voglio vedere se sta bene, sono preoccupata per la sua salute” ha aggiunto la donna, secondo quanto riferisce il Times of Israel. I membri della famiglia si sono radunati per sostenere Wiwwaeo mentre aspettava notizie nella modesta casa nella piantagione di gomma di famiglia, nella regione nord-orientale di Udon Thani.
Per tutta la mattinata si cercavano conferme alle parole dell’ambasciatrice thai in Israele, Pannabha Chandraramya, che aveva annunciato nelle scorse ore la notizia del rilascio oggi di cinque connazionali nelle mani di Hamas (o della Jihad islamica). Il capo della diplomazia di Bangkok nello Stato ebraico ha inoltre precisato che vi sono sei ostaggi vivi e due morti a Gaza, di età compresa fra i 28 a i 42 anni. Tutti erano stati sequestrati da quattro fattorie vicino al confine, dove erano impiegati come lavoratori agricoli. Sempre ieri Mousa Abu Marzouk, un alto funzionario di Hamas, aveva anticipato il rilascio di cinque thai in mano alla Jihad islamica palestinese. Di Sudthisak Rinthalak e Sonthaya Oakkharasr era già stata confermata la morte.
Decine di migliaia di migranti economici del Sud-est asiatico si trovavano in Israele per lavoro, la maggior parte dei quali impegnati nelle aziende agricole o nelle imprese di costruzione, quando si è verificato l’attacco di Hamas. Fra i braccianti, la gran parte è occupata nel sud nei pressi del confine con Gaza o a nord, poco lontano dalla frontiera con il Libano, diventando così in questi mesi fra le categorie più esposte al conflitto. Inoltre, secondo il governo di Bangkok i cittadini thailandesi sono stati di gran lunga il gruppo più numeroso e il più colpito, con almeno 32 morti. Oltre un anno fa, durante un precedente accordo per una breve tregua concordata nel novembre 2023, poi seguita da una escalation della guerra, erano stati rilasciati 23 ostaggi thai.
Infine, sempre in tema di prigionieri - ma stavolta sul versante palestinese - l’accordo fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco ha portato al rilascio il 25 gennaio scorso del 69enne Mohammed Altoos assieme ad altri 200 detenuti di cui 121 condannati all’ergastolo e 79 a lunghe pene. Meglio noto come “il martire vivente” o, per il tempo trascorso dietro le sbarre il “decano dei prigionieri palestinesi”, egli ha trascorso oltre 40 anni nelle carceri israeliane ed è stato rilasciato a condizione di un suo esilio in Egitto. Nei giorni scorsi, intervistato da una televisione araba, egli si è rivolto alle giovani generazioni di Cisgiordania e Gaza: “Esorto i miei nipoti a non intraprendere il percorso di lotta armata della ‘resistenza’. Se avessi saputo - ha proseguito - che la mia libertà sarebbe arrivata al costo di 60mila vite a Gaza, avrei scelto di rimanere in prigione”.
Nell’ottobre del 1985 Israele arresta Altoos, allora 28enne, dopo averlo catturato in una sanguinosa battaglia tra l’esercito e un commando palestinese in Cisgiordania, vicino al confine con la Giordania. Un caccia israeliano colpisce il veicolo che trasportava il commando, uccidendo tutti i suoi compagni ma lasciandolo gravemente ferito. Credendo che il figlio fosse stato ucciso, la famiglia organizza una veglia pubblica e accetta, come da tradizione, le condoglianze. Tuttavia, sei mesi più tardi si scopre che è sopravvissuto all’attacco aereo israeliano ed è detenuto in carcere; la famiglia, sorpresa dalla notizia, lo chiama “il martire vivente”.
Secondo la Palestinian Prisoner’s Society (Pps), un tribunale israeliano condanna Altoos a più ergastoli per il suo coinvolgimento in operazioni militari contro forze israeliane e per la sua affiliazione al movimento Fatah, allora bandito, al quale aveva aderito all’età di 14 anni. Per decenni, Israele ha rifiutato di rilasciarlo in tutti gli accordi di scambio di prigionieri con le fazioni palestinesi, compreso il rilascio di Gilat Shalit del 2011 o l’accordo del 2014. Le autorità israeliane hanno demolito la casa di famiglia nel villaggio di Al-Ja’ba, vicino a Betlemme, in tre diverse occasioni mentre era in carcere. Nel 2015 ha perso la moglie Amna dopo una lunga malattia e, con lo scoppio della guerra a Gaza, i figli non hanno più ottenuto il permesso di visitarlo. Ad oggi, in seguito al rilascio del “decano dei prigionieri”, rimangono in carcere 21 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane prima degli accordi di pace di Oslo del 1993.
27/10/2023 13:29