Gaza per il settimo giorno sotto le bombe, che il mondo tenta di fermare
Gerusalemme (AsiaNews) - Settimo giorno di guerra a Gaza: le ultime notizie riferiscono di un attacco aereo contro tre strutture delle Brigate Qassam, lungo la costa e di bombardamenti a Gaza City, a Deir el-Balah, nella parte meridionale della Striscia e nelle città settentrionali di Jabaliya e di Beit Lahiya. Si parla di un numero imprecisato di feriti, mentre il numero dei morti, secondo fonti palestinesi, è arrivato a 172. Israele ripete che i suoi obiettivi sono i militanti di Hamas e "siti terroristici", ma le Nazioni Uniti stimano che il 77% delle vittime siano civili.
Continuano anche i lanci di missili su Israele: dall'inizio dello scontro Hamas ne ha lanciati più di mille, 130 solo ieri, e alcuni sono arrivati anche dal Libano e dalla Siria. Oggi l'esercito israeliano ha sostenuto che uno ha colpito una infrastruttura elettrica che forniva corrente a 70mila abitanti di Gaza. Per il resto, il sistema antimissile israeliano Iron Dome finora è riuscito ad abbattere quelli destinati a colpire città e insediamenti, tanto che nessun israeliano è morto, anche se si contano alcuni feriti.
La situazione, che minaccia di aggravarsi per il ventilato intervento terrestre israeliano, sta facendo moltiplicare gli interventi per fermare il conflitto. Ieri, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità la richiesta di un cessate il fuoco, senza però indicare scadenze. Il Papa ha lanciato "accorato appello... per la pace in Terra Santa". Il segretario di Stato americano John Kerry ha chiamato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per sollecitare una tregua. I ministri degli esteri tedesco e italiano, Frank-Walter Steinmeier e Federica Mogherini, sono attesi nei prossimi giorni in Medio Oriente. La Mogherini ha in programma incontri con Netanyahu e con il presidente palestinese Mahmoud Abbas che ieri ha chiesto di mettere la Palestina sotto la "protezione internazionale dell'Onu".
Ma né Israele, né Hamas sembrano al momento intenzionati ad ascoltare. Netanyahu si trova ad affrontare una crescente pressione all'interno del suo gabinetto per lanciare l'attacco terrestre, ma mentre il 90 per cento degli israeliani esprime sostegno al bombardamento di obiettivi di Hamas, non c'è lo stesso sostegno all'invasione terrestre. Il premier ha detto che Israele agirà "vigorosamente al fine di raggiungere l'obiettivo dell'operazione - il restauro della tranquillità per un lungo periodo, infliggendo un colpo significativo a Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche", ma corre il rischio di apparire debole, se i razzi di Gaza continuano a prendere di mira le città israeliane. E ieri l'esercito di Gerusalemme, che dice di aver finora distrutto 1.300 "siti terroristici", ha avvertito, con volantini e messaggi telefonici gli abitanti della città di Beit Lahiya, a nord di Gaza, di allontanarsi, annunciando un attacco contro "terroristi e infrastrutture terroristiche".
Da parte sua, Hamas, che negli ultimi tempi ha visto un significativo crescere dello scontento tra gli abitanti di Gaza ed è in gravi difficoltà finanziarie, "non ha più niente da perdere", come dice Moukhaimer Abou Saada, politologo di al-Aqsa. Anche senza mettere in conto l'interesse di alcune sue frange - e di alcune israeliane - a far saltare l'accordo con Abbas, deve "restare in vita" e ogni volta che una casa viene colpita o una persona muore, la sua popolarità cresce, malgrado gli israeliani l'accusino di usare i civili come scudi umani. E' alla ricerca di un "colpo" che gli permetta di cantare vittoria sul piano della propaganda e di ottenere un alleggerimento del blocco imposto dall'Egitto sul piano economico. Secondo valutazioni israeliane possiede circa 10mila missili, soprattutto a corto raggio, il che gli permetterebbe di continuare i lanci per sei settimane.
Un tempo troppo lungo per Israele. D'altro canto, l'invasione terrestre per raggiungere l'obiettivo di eliminare tutti o quasi i siti di lancio dei razzi rischia di avere un costo troppo alto in perdite umane.
Gli spazi per la diplomazia, come si vede, sono davvero stretti.