Fukushima, la diocesi di Sendai prega per le vittime del disastro nucleare
Dopo 10 anni più di 35mila persone non possono tornare ancora nelle proprie case. Messe e commemorazioni in tono minore per la pandemia. P. José Gonzáles: Quello dello smaltimento delle acque radioattive è un grande problema.
Sendai (AsiaNews) – “La situazione è difficile. A causa delle radiazioni più di 35mila persone non possono tornare ancora nelle proprie case”. Padre José Gonzáles descrive così ad AsiaNews il dramma della popolazione di Fukushima a 10 anni dal sisma che ha devastato la costa nord-orientale del Paese, provocando il più grande incidente nucleare dai tempi di Chernobyl.
Un missionario di Guadalupe, p. Gonzáles ha partecipato ieri alla messa celebrata a Sendai per ricordare le vittime della tragedia. La diocesi locale è responsabile dell’area colpita dal terremoto e dal successivo tsunami. P. Shiro Komatsu, amministratore apostolico della diocesi, ha officiato la celebrazione. A causa della pandemia da Covid-19 solo alcuni sacerdoti hanno potuto unirsi alla preghiera.
In tutto il Paese si sono tenute commemorazioni pubbliche e religiose: il messaggio diffuso è stato quello di imparare da quanto è accaduto l’11 marzo del 2011.
Il maremoto provocato dal sisma di magnitudo 9.0 ha ucciso 18mila persone e distrutto città intere. La catastrofe ha obbligato mezzo milione di residenti ad abbandonare le proprie abitazioni. Le acque hanno invaso l’impianto nucleare di Fukushima, danneggiando alcuni reattori, che dal 12 marzo sono andati in fusione (meltdown). Per evitare il contatto con le radiazioni mortali, le autorità hanno creato una “zona di esclusione”, evacuando 150mila persone.
Stime ufficiali dicono che ci vorranno 40 anni per la ricostruzione e la bonifica del territorio. Finora il governo ha speso 30mila miliardi di yen (231 miliardi di euro). Nei prossimi cinque anni gli stanziamenti scenderanno a 1.600 miliardi di yen (12,3 miliardi di euro) e si concentreranno sull’area di Fukushima.
“Quello delle acque radioattive è un grande problema”, dice p. Gonzáles, perché non si sa dove stoccarla o smaltirla. La Tepco, la società che gestisce l’impianto nucleare, ha usato un milione di tonnellate di acqua per raffreddare i reattori atomici danneggiati. La Conferenza episcopale nipponica ha criticato la proposta del governo Suga di scaricarla in mare.