Fondo investimento Usa da 6mila miliardi lascia Hong Kong e Tokyo e si sposta a Shanghai
Il Vanguard Group punta sul mercato cinese. Shanghai e Shenzhen in crescita dopo il crollo dovuto alla prima ondata di Covid-19. Il mondo produttivo va controcorrente e accelera i piani per abbandonare la Cina e tornare nei Paesi d’origine, soprattutto Stati Uniti, Unione europea, Giappone, Taiwan e India.
Shanghai (AsiaNews) – Il gigante finanziario Vanguard Group sposterà le sue operazioni in Asia da Hong Kong e Tokyo a Shanghai. La decisione del fondo d’investimento Usa, rivelata oggi da Caixin, va controcorrente rispetto alle politiche dell’amministrazione Trump, che non esclude un “decoupling” (disaccoppiamento) dell’economia degli Stati Uniti da quella cinese.
Vanguard Group gestisce fondi per un valore di 6.200 miliardi di dollari (oltre tre volte il Pil dell’Italia, ndr). Un portavoce della società ha spiegato che lo spostamento è dettato dalla volontà di puntare sul mercato cinese. Dopo il crollo causato dallo scoppio della pandemia in gennaio, le borse cinesi hanno recuperato e aumentato il loro valore, superando la media dei listini mondiali. La creazione di due listini tecnologici sul modello del Nasdaq di New York – Star Market a Shanghai e ChinaNext a Shenzhen – rendono il mercato azionario cinese ancora più interessante.
Se la finanza Usa continua a scommettere sulla Cina nel pieno della guerra geopolitica tra Washington e Pechino, il mondo industriale sembra orientato a seguire l’orientamento del presidente Trump per una maggiore separazione economica tra le due potenze.
Il governo degli Stati Uniti sta studiando un provvedimento per incentivare le aziende Usa ad abbandonare la Cina e tornare in patria – o a trasferire le proprie attività in un Paese alleato. In realtà questo è un trend cominciato già 10 anni fa a causa dell’aumento del costo della manodopera cinese: la pandemia di Covid-19, la guerra dei dazi e quella tecnologica tra le due superpotenze lo hanno accelerato.
Secondo un recente studio di Bank of America, l’emergenza coronavirus ha distrutto l’80% delle catene globali di approvvigionamento, di cui la Cina è il principale nodo manifatturiero. Tale scenario ha spinto il 75% delle imprese che operano nei mercati esteri – soprattutto quelle dagli Usa, Unione europea, Taiwan, Giappone e India – ad ampliare gli sforzi per riportare le attività industriali nei propri Paesi d’origine.
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