Ferrovie indiane, il cimitero dei migranti interni
Di emigrazione non si muore solo sui barconi: in India milioni di lavoratori provenienti dagli Stati più poveri come il Bihar si spostano verso le grandi città. E quasi ogni giorno capita di trovare cadaveri lungo i binari. Per riavere i corpi alle famiglie vengono chieste spese stratosferiche. Il gesuita p. Luois Prakash: "L'inferno delle carovane a piedi verso i villaggi durante la pandemia non ha insegnato nulla".
Patna (AsiaNews) - Uno dei volti più nascosti di quel grande fenomeno globale che sono le migrazioni sono gli spostamenti interni entro i confini nazionali dalle aree più povere alle grandi città in cerca di lavoro. Pubblichiamo in proposito questa testimonianza di p. Louis Prakash, gesuita della provincia di Patna, co-fondatore della South Asian People’s Initiative (SAPI) e collaboratore dell'Indian Social Institute a New Delhi e Bengaluru.
Le migrazioni interne in India - da uno Stato all’altro o anche entro i confini dello stesso Stato - sono un fenomeno comune. Coinvolge per la maggior parte persone emarginate provenienti dagli Stati meno sviluppati come Bihar, Uttar Pradesh, Madhya Pradesh, Jharkhand e Assam. Disoccupazione, sottoccupazione, salari estremamente bassi, mancato pagamento dei salari, carenza di terra e di beni, scarsi guadagni dall'agricoltura, oppressione delle caste, sfruttamento, mancanza di strutture educative, assenza di industrie e possibilità di occupazione sono alcuni dei fattori che costringono i più poveri tra i poveri a migrare per guadagnarsi da vivere. Per la maggior si parte permettere ai familiari rimasti a casa di sopravvivere: guadagnare un po’ di più, significa poter investire sull’istruzione dei propri figli. E poi ci sono i giovani che emigrano attratti dallo stile di vita nei grandi centri urbani.
Madhesh Manjhi era originario di Masaurhi, a soli 30 chilometri da Patna, la capitale del Bihar. Non trovando un lavoro regolare e ben pagato, nella prima settimana di novembre è partito con alcuni abitanti del villaggio per Katpadi, nel Tamil Nādu, per lavorare come operaio salariato. Il 7 novembre la sua famiglia ha saputo che il suo corpo era stato ritrovato dalla polizia ferroviaria a Bapatla, nel distretto di Guntur, nell’Andhra Pradesh. Sconvolta dalla notizia, la famiglia si è rivolta a una ONG che si occupa dei migranti in difficoltà nel distretto di Patna per capire cosa fosse successo e riportare a casa a Masaurhi le spoglie del defunto.
Nonostante gli sforzi di molti singoli e della società civile è stato impossibile: per trasferire la salma da Bapatla, dove il corpo del defunto era conservato nella camera mortuaria dell'ospedale governativo, le ferrovie hanno chiesto 700mila rupie (oltre 8mila euro ndr). Una cifra che né la famiglia né l’ong che l’ha aiutata erano in grado di pagare. Alla fine, la polizia si è semplicemente sbarazzata del corpo di Madhesh Manjhi.
I migranti in difficoltà sono coloro che finiscono a svolgere i lavori più umili e difficili nel luogo in cui emigrano. Le condizioni di lavoro e di vita a cui sono sottoposti sono deprimenti. Ma questa storia ci rivela che in India molti non raggiungono nemmeno la loro destinazione perché vengono uccisi o subiscono incidenti durante il loro stesso viaggio. Lo stesso fatto di trasferirsi nel sud dell'India senza conoscere le lingue locali aumenta i loro debiti e i pericoli.
La morte di Madhesh Manjhi non è un caso isolato. Ogni giorno vengono segnalate storie di questo tipo dalle agenzie che lavorano per una migrazione sicura. Sonot Tudu, del distretto di Dumka, nello Jharkhand, stava andando a lavorare nell'India meridionale come bracciante migrante. È uscito di casa un sabato di ottobre e il martedì successivo la famiglia ha ricevuto una telefonata dalla polizia ferroviaria di Erode, nel Tamil Nādu, che comunicava che il suo corpo era stato trovato sui binari della ferrovia. Ci sono voluti 10 giorni per mobilitare i membri della famiglia per andare a reclamare il cadavere. Poiché il corpo era decomposto, hanno trasportato le ceneri e celebrato i riti funebri a casa.
Sonot ha lasciato una vedova e 5 figli senza mezzi economici per sfamarli, istruirli e crescerli. Sia le vedove sia gli orfani sono abbandonati a se stessi. Ma almeno la sua famiglia non si sente in colpa per non aver potuto celebrare nemmeno un funerale. Madhesh Manjhi non ha avuto questa fortuna e la sua famiglia continua a soffrire.
La condizione dei migranti interni in India era balzata all’attenzione nel 2020 durante la pandemia, quando in centinaia di migliaia erano stati costretti nel lockdown a lasciare i grandi centri facendo ritorno - anche percorrendo a piedi migliaia di chilometri - ai propri villaggi. Anche in quel viaggio alcuni persero la vita; ma tra gli altri effetti lasciati da quell’esperienza terribile ci sono anche depressioni, diminuzione dei tassi di scolarità con l’aumento dei bambini lavoratori, matrimoni precoci.
In quel dramma fu a tutti evidente la disparità di trattamento tra i migranti interni ed esterni da parte dei governanti dell’India. Per chi ha ricevuto un'istruzione migliore e a basso costo dalle migliori istituzioni educative del Paese decidendo poi di andare all'estero in cerca di pascoli verdi, si organizzarono voli speciali di rientro nell’emergenza Covid, mentre i migranti interni furono costretti a camminare per migliaia di chilometri. Ma non è solo un problema di oggi. Il divario tra il lavoro intellettuale e quello umile è una questione sociale e storica in India. Considerati persone di seconda categoria, i migranti interni sono sottoposti a disonore, mancanza di rispetto e condizioni deplorevoli.
Ciò che è ancora più deprimente è il fatto che neppure dopo questa tragedia i governanti hanno imparato la lezione. Servirebbe una politica che affronti i fattori alla base della migrazione, una formazione prima della partenza per una migrazione sicura, collegamenti tra i luoghi di origine e quelli di destinazione, uffici nei singoli Stati che affrontino i problemi dei migranti interni. Il governo Modi, per motivi di propaganda, continua a parlare del progetto “Una nazione, una carta annonaria”. Ma solo se queste parole si tradurranno in fatti concreti i migranti potranno trarne beneficio. Di certo finché il Paese non affronterà questo tema degli spostamenti interni continuerà a scavarsi la fossa da solo.
* gesuita della Provincia di Patna, cofondatore della South Asian People’s Initiative (SAPI)
(ha collaborato Nirmala Carvalho)
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