Fabc50: la guerra, gli appelli inascoltati al dialogo e le Chiese
Alla Conferenza generale delle Chiese dell'Asia - che si conclude domani a Bangkok - il tema dei conflitti in crescita interpella le Conferenze episcopali. Il card. di Mumbai Gracias: "Non fermiamoci alle parole, animiamo la società civile per la riconciliazione". Il card. Tagle, inviato del papa: "Il Vangelo ci dice che Dio agisce attraverso i piccoli. Anche essere minoranza è una missione".
Bangkok (AsiaNews) – In un tempo in cui i conflitti crescono in maniera drammatica, come possono le Chiese divenire segno di pace? È uno dei temi di cui si è parlato molto in questi giorni alla Fabc50, la Conferenza generale delle Chiese dell’Asia in corso a Bangkok. Domani questo incontro che ha visto insieme 226 delegati dalle comunità cattoliche di ben 29 Paesi dell’Asia vedrà la sua conclusione con la celebrazione eucaristica presieduta nella cattedrale dell’Assunzione dal card. Luis Antonio Tagle, inviato speciale di papa Francesco. Durante il rito verrà diffuso anche un messaggio delle Chiese ai popoli dell’Asia, mentre il documento finale di sintesi sulle nuove strade da percorrere insieme vedrà la luce tra qualche mese.
Una delle sfide con cui si troverà a fare i conti è proprio quella dei conflitti che insanguinano non solo l’Europa. Come porsi come cristiani davanti alla violenza della guerra? La domanda è emersa anche durante la conferenza stampa tenuta oggi dal card. Tagle insieme ai tre presidenti della Conferenza generale: il card. di Yangon Charles Bo, presidente della Fabc, il card. di Mumbai Oswald Gracias e il card. di Bangkok Francis Xavier Kriengsak.
“Molte voci oggi nella Chiesa - ha commentato il card. Tagle - chiedono dialogo, diplomazia per risolvere i conflitti. Ogni domenica il papa all’Angelus ricorda nazioni del mondo dove c’è sete di pace, invitando le parti a riunirsi e a parlarsi. Ma la domanda diventa: che cosa possiamo fare quando poi non succede? Lanciamo appelli, con la voce più forte o con il tono più umile. Poi, però, dipende dai leader politici ascoltare oppure no”.
“Anche in Asia crescono i conflitti, le violenze, il fondamentalismo - ha fatto eco il card. Gracias -. Ed è importante che come Chiesa non ci fermiamo agli appelli, che lavoriamo per la pace, la riconciliazione, l'armonia. Parlare nel nome di Cristo, della verità, della giustizia, senza complessi di inferiorità. Dobbiamo rifletterci, assumere un ruolo più forte, animando la società civile e mostrando che la pace funziona, è progresso. Mentre la guerra significa solo passi indietro”.
“Ci sono, però, momenti in cui non c’è alcun dialogo - ha osservato da parte sua il card. Bo - come succede da noi oggi in Myanmar. Le parti in conflitto non ne parlano nemmeno più. In questi contesti a noi uomini di fede, e ai cattolici in particolare, resta il compito di continuare a pregare per la pace, perché quando i tempi saranno maturi la si possa costruire davvero”.
“Il gesto di papa Francesco che ha baciato i piedi ai leader del Sud Sudan - ha aggiunto il card. Kriengsak - è stato un esempio efficace in questo senso. Tutto il mondo ha visto quel gesto e si è interrogato. Poi, certo, la testimonianza è affidata a chi è chiamato a riceverla. Sapendo però che le cose cambiano un passo alla volta, non in un giorno solo”.
Da parte sua il card. Tagle ha invitato a riflettere con uno sguardo evangelico anche sulla condizione di minoranza delle Chiese dell’Asia. “Nel continente dove vivono i due terzi della popolazione mondiale - ha ricordato - numericamente siamo minoranza. Anche dentro le nostre stesse istituzioni: in Thailandia su 300mila studenti delle scuole cattoliche solo il 2% sono cristiani. Ma le parabole del Regno ci rivelano come Dio agisca sempre attraverso i piccoli. Il fatto di essere ai margini, non ascoltati, non impedisce alla Chiesa in Asia di vivere la sua missione. E dobbiamo ricordarcelo anche nelle Filippine o a Timor Est, dove siamo maggioranza: il Regno si costruisce nell’umiltà, nella compassione, nella solidarietà con i piccoli della società”.
Infine il pro-prefetto del dicastero dell’Evangelizzazione ha posto la questione della sfida posta alla Chiesa dalle nuove strade digitali percorse durante il tempo della pandemia, che oggi vanno percorse con sempre più insistenza ma anche senza confusioni. Fa pensare anche l'Asia il calo nell’affluenza nelle Chiese dopo il Covid19. “I social media resteranno nella nostra società - ha commentato Tagle - come Chiesa dobbiamo pienamente prenderne coscienza. Ricordando, però, che la realtà sacramentale passa attraverso segni visibili come l’acqua nel battesimo, il pane e vino nell’Eucaristia. Finita l’emergenza deve ricominciare anche per la Chiesa la vita normale. La sfida è imparare dalla pandemia: oltre alle celebrazioni on line, ci sono state molte catechesi, percorsi biblici, forme di accompagnamento. Dobbiamo ripartire da lì e interrogarci su come davvero il mondo digitale può diventare uno strumento per promuovere la verità, l’attenzione agli altri, e la trasformazione della società”.
24/02/2019 11:36
23/02/2019 21:26