Erdogan e pensioni: le nuove spine per la corona di Putin
Il confronto fra impero russo e impero ottomano è stato sempre lo spartiacque fra successo e fallimento. Erdogan vuole diffondere il suo potere in Medio oriente, dove la Russia rischia di perdere la sua egemonia conquistata sul campo siriano. La riforma delle pensioni, con l’innalzamento dell’età pensionabile, appare a membri della Chiesa ortodossa come “un castigo di Dio”. Scendono gli indici di approvazione per Putin e Medvedev.
Mosca (AsiaNews) – Lo “zar Putin IV” si trova ad affrontare due questioni, una di politica estera e una squisitamente interna che fanno vacillare alcune sue certezze: la rielezione del “sultano” Erdogan e la riforma delle pensioni. Le due situazioni, piuttosto complicate, vengono a ostacolare l’ascesa del leader russo, dopo la sua trionfale rielezione lo scorso 18 marzo e i grandi accordi economici firmati con la Cina e altri partner asiatici.
Come per tutti i grandi zar russi, da Pietro il Grande a Nicola I, lo spartiacque tra il successo e il fallimento passa dal confronto con l’impero ottomano, dove il neo-rieletto presidente, Recep Tayyp Erdogan, funge da “specchio” storico e ideologico delle fortune di Vladimir Putin. Entrambi sono sulla scena da circa 20 anni, hanno scalato il potere in modo rapido per non mollarlo più, cambiando leggi e costituzioni in favore della propria inamovibilità. Il nuovo zar ripropone l’eredità degli autocrati ortodossi di Mosca; l’ideologia neo-ottomana di Erdogan riporta la Turchia ai fasti dell’islam politico del passato. Entrambi fungono da modello e ispirazione dei vari sovranismi, più o meno autoritari, che dominano la scena politica di tutte le latitudini.
Come per gli zar e i sultani del passato, il rapporto tra Putin e Erdogan si alimenta di un’irriducibile ostilità e allo stesso tempo di un’inestricabile dipendenza reciproca. Il sogno della “Terza Roma” moscovita passa dalla conquista della “seconda Roma”, l’antica Bisanzio, che diventa anche il partner obbligato per imporre una visione del mondo multilaterale, essendo gli unici due imperi su entrambi i continenti, sul crinale tra Oriente e Occidente.
Il terreno abituale di incontro-scontro tra Turchia e Russia è proprio il grande “contorno” di cerniera tra Europa e Asia, il Medio Oriente dalla Siria alla Terra Santa, oltre all’Asia centrale di origini turaniche. E proprio le prime dichiarazioni di Erdogan, dopo la rielezione a maggioranza assoluta, destano non poche preoccupazioni al Cremlino. Intervenuto davanti alla massa dei suoi sostenitori ad Ankara, il presidente-sultano ha promesso di portare a termine la “liberazione” dei territori siriani, come chiesto dai suoi elettori: “Voglio essere chiaro sulla questione” - ha dichiarato - “abbiamo recepito il messaggio dei nostri concittadini nelle ultime elezioni parlamentari. Potete essere certi che non ripeteremo gli stessi errori”. Avendo ottenuto il 53% dei voti e la libertà di cambiare il personale governativo, oltre ai giudici della Corte Suprema, il leader turco ha espresso la volontà di continuare l’espansione militare in Siria, e magari anche in Iraq: “Libereremo la Siria dai terroristi, così che vi possano tornare i nostri ospiti siriani”, ha promesso Erdogan, riferendosi al flusso migratorio che ha invaso la Turchia durante le fasi più acute del conflitto bellico, e per sostenere il quale il Paese ha ottenuto generosi finanziamenti dall’Unione Europea.
Le dichiarazioni di Erdogan allarmano molto la Russia, che rischia di perdere l’egemonia conquistata sul campo in Siria, anche se i dirigenti russi ostentano una tranquillità di facciata, confidando al contrario di potersi accordare col sultano.
Ben più gravi appaiono i grattacapi di Putin di fronte alle reazioni negative per l’annunciata riforma delle pensioni, che rischia di far scendere i suoi indici di popolarità in patria.
Annunciata lo scorso 14 giugno, alla vigilia dei Campionati Mondiali di calcio, la riforma porta a 65 anni l’età della pensione per i maschi e a 63 quella per le donne.
Un autorevole membro del clero ortodosso, il protoierej Aleksej Chaplin dell’eparchia di Belgorod, lo scorso 23 giugno ha diffuso critiche di fuoco al progetto di legge sul portale Russkaja Pravoslavnaja Linija e sui social media. Secondo il prelato, “l’innalzamento dell’età pensionabile raggiunge quella generazione che più di tutte ha contribuito a distruggere i principi stabiliti da Dio sulla famiglia, e la nuova legge appare come un castigo inflitto al popolo per i suoi peccati... Dire la verità è sempre scomodo e difficile, ma in questo consiste la missione della Chiesa”. In questo caso la “verità” è l’accusa degli “inganni della lobby liberale”, e il fatto che “al posto della famiglia domina la convivenza peccaminosa dei cosiddetti matrimoni civili; il numero dei divorzi ha raggiunto cifre spaventose; le famiglie numerose sono condannate dall’opinione pubblica, per non parlare dei milioni e milioni di aborti”.
Finora la riforma è stata “narcotizzata” dall’euforia per il buon inizio dei russi al Campionato di calcio, peraltro già offuscata dalla prima sonora sconfitta contro la nazionale uruguaiana. Il governo di Mosca confida in ulteriori, per quanto incerti successi, per evitare critiche e malcontenti sociali anche più duri delle accuse moraleggianti di padre Aleksej e della Chiesa ortodossa. Intanto, l’indice di approvazione del presidente Putin è sceso in questi giorni dal 75 al 69%, e quello del governo Medvedev affonda sotto il 50%.
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