Elezioni politiche: il Libano è salvo e si chiude un periodo nero
di Fady Noun
Sconfitta la frangia radicale vicina alla Siria e all’Iran, trionfo dell’ala “moderata” pro-Occidente. Il Paese sembra aver messo alle spalle il periodo buio, favorito da un quadro internazionale che promuove la politica del dialogo. Hezbollah sul fronte interno, la corsa al nucleare iraniana e le divisioni fra Fatah e Hamas minacciano la stabilità della regione mediorientale.
Beirut (AsiaNews) – A dispetto delle vicissitudini degli anni passati, la democrazia in Libano è salva. La grande paura di una vittoria della frangia “radicale” alle elezioni del 2009 fa ormai parte del passato. Ha vinto il campo dei “moderati” aperto all’Occidente, avendo conquistato 71 seggi contro i 57 della Corrente patriottica libera del generale Michel Aoun, alleato di Hezbollah, del movimento Amal e degli altri partiti che gravitano nell’orbita siriana e iraniana. Le elezioni del 7 giugno, da tutti i punti di vista storiche, introducono il Libano in una nuova fase che dovrebbe essere più tranquilla di quella che l’ha preceduta.
È ancora vivo nella memoria il marchio che ha caratterizzato l’ultima legislatura 2005-2009, segnata nel luglio-agosto del 2006 da una guerra spietata, e perfettamente inutile, condotta da Israele contro Hezbollah. Essa ha messo in ginocchio le infrastrutture del Libano, falsato totalmente il gioco politico interno e portato i libanesi a sbranarsi fra loro, spingendo il Paese sull’orlo di una guerra civile.
Peraltro il periodo 2005-2008 è stato caratterizzato da un drammatico tentativo di destabilizzare il Paese, al quale ha fatto seguito il ritiro dell’esercito siriano dal territorio, senza che si possa ancora stabilire un legame diretto e certo tra questi due elementi. Il tentativo di destabilizzare il Libano si è concretizzato in una serie di omicidi mirati di deputati, di figure di primo piano, intellettuali e esponenti dei vertici militari, ivi compreso un ufficiale dell’esercito candidato alla guida delle forze armate libanesi, François Hajje, a cui si aggiungono una trentina di attacchi bomba sui quali ancora oggi non si è fatta luce.
Nel quadro del tentativo di destabilizzare il Libano, una menzione speciale va fatta per il movimento Fateh el-islam, una sordida organizzazione fondamentalista islamica che ha seminato morte e distruzione nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, nel 2007, prima di essere sconfitta con immane spargimento di sangue e al prezzo di gravissime perdite per l’esercito libanese.
A questo periodo di destabilizzazione è seguito, sul piano interno, l’irrompere di un movimento semi-insurrezionale destinato a spingere alle dimissioni il governo di Fouad Siniora. Questo movimento ha portato alle dimissioni in blocco dei ministri sciiti del governo, ne ha contestato la legittimità, ha causato una interruzione nei lavori del parlamento, l’occupazione di un centro commerciale, ha quasi portato alla paralisi totale, innescato gravissimi scontri di piazza e provocato una frattura fra sciiti e sunniti. Senza considerare la minaccia costante di una occupazione violenta, militare e di popolo, del palazzo per cacciare il capo del governo.
Il governo e la maggioranza hanno dovuto superare un cammino tortuoso e tumultuoso per ottenere la creazione del Tribunale speciale Onu chiamato a far luce sulle circostanze dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafic Hariri, ucciso il 14 febbraio 2005. Tenuto conto della paralisi parziale del governo libanese, la creazione di questa corte ha infine reso effettive le disposizioni del VII° Capitolo della Carta delle Nazioni Unite.
Non dimentichiamo nemmeno che gli anni 2005-2009 sono stati marcati dalla presidenza bellicosa di George Bush, considerato da Hezbollah e da buona parte dell’opinione pubblica libanese, come il complice diretto di Israele nell’aggressione del luglio-agosto 2006. Il solo elemento positivo di questa guerra è stato l’adozione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, che ha messo fine al conflitto e offerto allo Stato libanese un quadro legale all’interno del quale può – in linea teorica – muoversi nei confronti sia di Israele che di Hezbollah.
Le elezioni del 7 giugno 2009, conseguenza diretta dell’accordo di Doha del maggio 2008 e dell’elezione del presidente Michel Sleiman, dovrebbero aiutare il Paese a lasciarsi alle spalle questo periodo nero della sua storia. Le elezioni, i cui risultati sono stati riconosciuti dai principali partiti rappresentativi della comunità sciita – Hezbollah e Amal – così come dalla comunità internazionale, assegnano 71 deputati alla maggioranza e 57 all’opposizione. In mezzo a questa equazione, l’elemento chiave è la percentuale dei voti cristiani di cui ha beneficiato il generale Michel Aoun. Un dato del 48%, rispetto al 70% dei consensi che ha raccolto nel corso delle precedenti elezioni. Un calo significativo nella rappresentatività che potrebbe giocare, anch’esso, a favore di uno stemperamento delle tensioni, prevenendo così le rivendicazioni confessionali dei cristiani.
Il contesto internazionale nel quale si inseriscono queste elezioni è più propizio alla pace rispetto all’era della presidenza Bush. La posizione del nuovo presidente Usa Barack Obama è di gran lunga più morbida rispetto a quello del predecessore, mostrando al contempo un atteggiamento fermo in merito alla formula dei due Stati (israeliano e palestinese) e allo scandalo degli insediamenti dei coloni. La Francia di Nicolas Sarkozy sembra essere attenta alle posizioni di Damasco. Il clima internazionale potrebbe diventare ancora più favorevole alla luce dei risultati delle elezioni presidenziali in Iran, il 12 giugno.
Ma vi sono anche dei limiti all’ottimismo, sia sul piano interno che nel quadro internazionale. Sul fronte interno, vi è il pericolo di una radicalizzazione della rappresentatività confessionale, che si tradurrebbe in una continuazione della fase di stallo a livello politico; in particolar modo nei confronti delle milizie armate di Hezbollah.
Nel quadro internazionale alcune questioni molto serie, come il nucleare iraniano e la proliferazione delle armi nucleari nella regione mediorientale, o quello della divisione che mette di fronte Fatah e Hamas in Palestina, continueranno a essere, nei prossimi mesi, una grave fonte di instabilità, che non mancherà di ripercuotersi indirettamente sul Libano.
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