Elezioni in Iraq: al centro economia e sicurezza. Leader cristiano: voto per il cambiamento
Domani il Paese alle urne per rinnovare i 329 seggi parlamentari. Di questi 83 sono riservati alle donne, nove alle minoranze di cui cinque ai cristiani. Sciiti, sunniti e curdi divisi all’interno. Yonadam Kanna: “Verso maggioranze politiche e non settarie”. Dal patriarcato caldeo nuovo appello alla partecipazione.
Baghdad (AsiaNews) - Maggiore sicurezza, opportunità lavorative per un numero sempre più ampio di persone e un rilancio dell’economia, piagata da anni di violenze e conflitti, interni e regionali, che hanno determinato crisi profonde e impoverimento generale della popolazione. Sono questi gli elementi di maggiore interesse per i cittadini irakeni, chiamati alle urne domani 12 maggio per le elezioni politiche in cui verranno rinnovati i 329 membri del Consiglio dei rappresentanti (il Parlamento unicamerale). I deputati saranno poi chiamati a formare il nuovo esecutivo ed eleggere il futuro presidente, appuntamenti cruciali che delineeranno l’Iraq del prossimo futuro.
Saranno quasi 20 milioni i cittadini aventi diritto di voto, sparsi per le 18 province del Paese; gli elettori potranno scegliere fra un totale di 6.990 candidati espressione di 87 partiti, liste o movimenti. Alle donne - poco più di 2mila le candidate - è riservato il 25% dei seggi (83), mentre ai curdi ne vanno 46; altri nove seggi sono riservati alle minoranze religiose, di cui cinque ai cristiani.
Le elezioni parlamentari del 12 maggio sono le quarte dall’invasione statunitense del 2003, che ha portato alla destituzione dell’ex raìs Saddam Hussein; si tratta inoltre del primo appuntamento elettorale dall’ascesa e dalla successiva sconfitta dello Stato islamico (SI, ex Isis), il movimento ultra-radicale sunnita guidato dal “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, che per oltre due anni ha controllato quasi la metà del Paese.
La lotta contro l’Isis ha rappresentato negli ultimi anni un elemento unificante, in una nazione da sempre frammentata a causa di conflitti etnici e confessionali. Tuttavia, oggi il panorama politico e istituzionale del Paese appare diviso anche all’interno del campo sciita, sunnita e curdo e i vertici delle varie coalizioni sono dominati dagli stessi politici che, da tempo, reggono le fila dell’Iraq.
Interpellato da AsiaNews alla viglia del voto il parlamentare cristiano Yonadam Kanna, leader della Rafidain Coalition (il Movimento democratico assiro), racconta un clima “di grande sfiducia e di delusione” nell’elettorato “verso il governo e i principali partiti”. Un malcontento dettato da una situazione economia e sociale problematica, davanti alla quale “le persone comuni vogliono rispondere contribuendo in prima persona al cambiamento” attraverso il voto. La speranza, aggiunge, è quella di “arrivare un giorno alla nascita di uno Stato civile e retto dal diritto”.
“Son profondamente convinto - prosegue Yonadam Kanna - che l’elezione potrà essere il motore per un grande cambiamento verso un principio di maggioranze politiche e non settarie. Questo perché i blocchi di un tempo sono oggi divisi e frammentati e ciò rappresenta un passo positivo per il futuro dell’Iraq”. Il leader cristiano esclude infine una ripercussione sul voto irakeno delle tensioni regionali, in seguito alla decisione del presidente Usa Donald Trump di cancellare l’accordo nucleare iraniano. “Una scelta - chiosa - che non ha alcuna influenza sugli elettori o sui voti in Iraq”.
In tema di frammentazione, le maggiori divisioni si registrano nel campo sciita: le ambizioni dell’ex premier Nouri al-Maliki di recuperare un ruolo centrale (alla testa del partito Dawa), si scontrano con l’obiettivo del Primo Ministro uscente Haider al-Abadi - protagonista dell’offensiva contro lo Stato islamico - di restare al potere. Quest’ultimo si presenta con una coalizione propria (Nasr) e, in questi mesi, ha svuotato dall’interno i rivali di Dawa, sottraendo numerosi (e autorevoli) candidati.
Nelle scorse settimane abbiamo raccontato della “strana alleanza” fra fedelissimi del leader radicale sciita Moqtada al-Sadr e comunisti. Dal fronte sunnita, archiviate le minacce degli anni passati di astensionismo, resta la probabile inconsistenza politica a causa delle profonde divisioni interne. Già minoranza nel Paese, anche per il voto del 2018 i sunniti non hanno saputo unirsi sotto un unico blocco capace di rappresentarne in Parlamento le aspirazioni.
I curdi hanno ricoperto un ruolo chiave nelle elezioni del 2010 e del 2017, facendo valere il proprio peso anche nella scelta del Primo Ministro. Tuttavia, il tentativo della leadership curda e della famiglia Barzani di arrivare all’indipendenza tramite referendum (con la maggioranza dei votanti favorevole, ma l’intervento del governo centrale e della magistratura a Baghdad hanno di fatto cancellato la consultazione) ha aperto la strada a nuove divisioni e lotte di potere. Con Kirkuk sotto i controllo dell’autorità centrale, ai curdi sembrano restare pochi spazi di manovra per incidere davvero sul futuro politico della nazione.
Intanto i vertici della Chiesa irakena rilanciano l’appello alla partecipazione, scegliendo “quanti potranno servire al meglio” i cittadini e la patria. Il 6 maggio scorso, in tutte le chiese del Paese, al termine della messa gli officianti hanno letto un messaggio a firma del patriarca mar Louis Raphael Sako. Il primate caldeo chiede di “pregare per il successo elettorale” e perché non si registrino violenze ai seggi. Al prossimo Parlamento, avverte il prelato, il compito di “sradicare la corruzione e lavorare per la ricostruzione e la riconciliazione” mediante il rafforzamento della cittadinanza e dello Stato di diritto, liberando la nazione da “pressioni” regionali e internazionali.(DS)
13/06/2018 08:59
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