Elezioni in Iran, il cambiamento che non verrà
Domani si chiude la campagna elettorale per le presidenziali. Testimonianze locali raccontano di un popolo "rassegnato"; esperti del Paese spiegano gli ostacoli alle riforme: lo strapotere dei mullah, la mancanza di una opposizione forte e di spinte progressiste ben organizzate.
Teheran (AsiaNews) La bassa affluenza ai seggi è la previsioni più certa per le elezioni presidenziali in Iran. La campagna elettorale in vista del voto del 17 giugno si chiude domani mattina, tra gli appelli dei candidati e dello stesso presidente Mohammad Khathami perché ci si rechi alle urne. Oltre alla probabile vittoria del favorito Rafsanjani, si dà per scontata la bassa affluenza ai seggi. Sfiducia, disinteresse e la convinzione che il voto non cambierà un presente di oppressione e restrizioni sono i sentimenti più diffusi tra la giovane popolazione iraniana.
Testimoni locali e studiosi internazionali, con frequenti contatti nel Paese, confermano che lo stato d'animo tra la gente è di "rassegnazione". "La popolazione dice dietro anonimato una fonte locale di AsiaNews è consapevole che votare non servirà a nulla: chi continuerà a comandare è il Consiglio dei guardiani della rivoluzione": 12 religiosi che hanno possibilità di veto su qualsiasi legislazione proposta dal Majlis (parlamento) e gestiscono le rendite economiche del Paese.
La convinzione della gente nasce dall'esperienza passata: "Le speranze di riforma riposte in Khatami continua la fonte sono state deluse. Quando è stato eletto, nel 1997, la gente era disposta a scendere in piazza per forzare cambiamenti, ma il presidente non ha potuto fare niente e ora nessuno riesce a credere in questa democrazia".
Con metà dei 67 milioni di abitanti al di sotto dei 25 anni, gli 8 candidati alla presidenza hanno svolto una campagna elettorale rivolta soprattutto ai giovani. Secondo coloro che conoscono la situazione, però, questi "sono poco interessati alla situazione politica del Paese; più attrattiva esercita in loro il richiamo al modello di vita occidentale: cinema, tv, consumismo ". In generale c'è una "sopportazione più o meno ostile ai mullah", ma nessuno crede che la situazione possa cambiare. L'ipotesi è ancora più improbabile se si tiene presente che non esiste un movimento progressista che possa proporsi come guida del Paese. "Si può parlare spiega un esperto solo di figure o schieramenti più o meno moderati". All'interno del Paese poi manca quasi totalmente una vera opposizione ben organizzata: "L'opinione pubblica è oppressa dalla censura e la popolazione è troppo giovane per avere una formazione forte e decisa. La situazione attuale non è sul punto di esplodere, anche se non è escluso che questo prima o poi accadrà. La spinta, quando verrà, sarà esterna: è all'estero che si trova il nerbo organizzativo dell'opposizione" conclude lo studioso.
Secondo le ultime proiezioni, la maggior parte delle preferenze nel voto di venerdì saranno divise tra il favorito Rafsanjani (ex presidente iraniano dal 1989 al 1997), Mohammad Baqer Qalibaf e il riformista Mostafa Moin; nessuno dei candidati raggiungerà il 50% necessario per una vittoria al primo turno. Quello che sarebbe il primo ballottaggio nella storia della Repubblica islamica di Iran potrebbe svolgersi il 1 luglio.
Il nuovo presidente rimarrà in carica per 4 anni, ma il potere maggiore nel Paese è esercitato dal leader supremo della Rivoluzione islamica, ayatollah Ali Khamenei. Egli comanda le forze armate e ha l'ultima parola sulle questioni politiche.
Oggi in un incontro pubblico Khamenei ha dichiarato che "venerdì la popolazione dimostrerà la sua fede nella Costituzione della Repubblica islamica e nei suoi articoli immodificabili". (MA)
18/06/2005