11/01/2021, 11.03
TAGIKISTAN
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Dušanbe, serie di condanne per gli attivisti islamici

Il governo cerca di frenare la crescita del Partito di rinascita islamica, già bollato come “terrorista” nel 2015. Donier Nabiev, 87 anni, è stato condannato a 5 anni di prigione; Dzhaloliddin Mahmud a 6 anni e mezzo. Ma i processi si svolgono a porte chiuse e le sentenze non sono commentate.

Dušanbe (AsiaNews) - Il tribunale del distretto Ismoili Somoni, nella capitale tagika, ha condannato a cinque anni di prigione Donier Nabiev, 87 anni (foto 1), ex-attivista del partito della Rinascita Islamica (PRI), ora proibito dalle autorità. Solo in questi giorni si è avuta notizia del processo, svoltosi a porte chiuse e dove i giudici si sono rifiutati di commentare la sentenza. I parenti dell’imputato hanno dichiarato che “Donier è stato riconosciuto colpevole di aver portato aiuti umanitari ai suoi parenti, rinchiusi in carcere perché appartenenti al PRI”.

Saidiskhok Boboev, uno dei familiari, in un’intervista a Radio Ozodi ha raccontato che la condanna era stata emessa lo scorso 28 dicembre, ma nulla era stato comunicato, proprio come avveniva ai tempi dei tribunali staliniani. I funzionari del tribunale hanno poi confermato la condanna senza commenti, affermando che si tratta di materiale secretato.

Uno dei capi del PRI, Makhmadi Teshaev, ha comunicato a sua volta che l’anziano attivista, noto anche come Boboj Dona, “nonno Dona”, era stato arrestato lo scorso settembre a casa sua, nel kishlak (villaggio) di Gulbutta, senza che fossero state date spiegazioni. Secondo Teshaev “Boboj Dona portava ai parenti in carcere carne e frutta, e solo per quello è stato rinchiuso in prigione”.

Negli ultimi mesi a Dušanbe e dintorni si sono svolti diversi processi contro gli esponenti del PRI, principale partito di opposizione al presidente eterno Emomali Rakhmon (in carica dal 1994, ex-segretario locale del Partito comunista). Il PRI è pure l’unico partito esplicitamente islamico nei Paesi ex-sovietici, fondato nel 1991 dopo la fine dell’Urss. Nel 2015 il partito è stato ufficialmente sciolto dal tribunale supremo del Tagikistan, che lo ha definito una “organizzazione terroristica”, e i suoi esponenti da allora agiscono in semi-clandestinità. Uno dei suoi dirigenti, Dzhaloliddin Mahmud (foto 2), era stato arrestato nel 2015 dopo lo scioglimento, poi graziato nel 2019 e da poco nuovamente condannato a sei anni e mezzo per attività terroristiche.

Mahmud è stato infatti accusato di aver tentato di “cambiare con la forza lo Stato costituzionale”, in realtà per aver cercato di rendere nuovamente legali le attività del PRI. Dopo essere rimasto in cella d’isolamento per un periodo, sta ora scontando la condanna nel lager di Bakhdat, un “campo di correzione” istituito apposta per i membri del PRI. Proprio a Bakhdat, nel settembre 2015, era avvenuta la “rivolta” guidata dal generale Abdulahim Nazarzod, vice-ministro della Difesa, che aveva tentato di impadronirsi della caserma ora divenuta un campo di concentramento.

La dirigenza del PRI ha sempre rifiutato ogni accusa di connivenza con il generale Nazarzod, sostenendo che lo scopo delle autorità tagike è solo l’esclusione di una forza politica influente come il loro partito. Gli esponenti del disciolto partito contestano anche i tanti arresti “senza fondamento” dei loro compagni e chiedono la loro liberazione, a partire da Boboj Dona. L’ex-ministro della Giustizia del Tagikistan, Rustam Shohmurod, ha peraltro dichiarato che “tutti i detenuti si trovano sotto custodia per i delitti da loro compiuti”.

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