Dopo la pandemia, riaprono le chiese in Cina. Ma con molte difficoltà
A causa della pandemia erano chiuse da circa cinque mesi. Le chiese sono le ultime cose a essere riaperte, dopo industrie, ristoranti, cinema, mercati ambulanti. Sono necessari permessi da tutti i livelli di autorità e garanzie sulle misure sanitarie di prevenzione. Le domande sulla libertà religiosa, sui vescovi che tacciono e sul Vaticano.
Pechino (AsiaNews) – Il governo cinese ha diffuso l’avviso che sarà possibile riaprire le chiese al culto dopo quasi cinque mesi di chiusura a causa della pandemia. Ma la trafila burocratica e le condizioni per la riapertura rendono molto difficile il ritorno degli edifici sacri al servizio dei fedeli.
Quando il 23 gennaio la Cina ha decretato l’isolamento di Wuhan (epicentro della pandemia da Covid-19) e poi via via tutte le province del Paese, alle chiese è stato intimato subito la chiusura. Sacerdoti e fedeli hanno dovuto ricorrere a messe online, rituali, indicazioni per santificare il precetto festivo senza la messa, preghiera in famiglia, ecc.
Dagli inizi di marzo, il Paese si è rimesso in moto, riaprendo industrie, ristoranti, e perfino cinema e venditori ambulanti. Per le chiese si è tardato fino a giugno. Ma anche ora, le condizioni per riaprirle ai fedeli sono snervanti.
P. Paolo, un sacerdote della Cina centrale, lamenta: “Per aprire la chiesa dobbiamo ricevere i permessi delle autorità ad ogni livello: di villaggio, di città, di provincia e questo richiede tempo e viaggi. In più dobbiamo preparare la chiesa sia per accogliere i fedeli, sia per garantire le condizioni sanitarie”. Gli edifici sacri possono infatti essere riaperti solo a condizione che le parrocchie garantiscano misure di prevenzione della pandemia quali controllo della temperatura, maschere, disinfettanti, percorsi, ecc.
In alcune province, come nel Sichuan, per riprendere i corsi di catechismo occorre un permesso speciale. In altre province, l’Associazione patriottica esige che la riapertura avvenga con prediche sull’amore di patria e con canti patriottici, secondo le regole stabilite dai Nuovi regolamenti sulle attività religiose, che esigono “sinicizzazione” e “patriottismo” verso il Partito comunista cinese per ogni gesto religioso.
“Certo – continua p. Paolo – celebrare messa col popolo è molto importante e più significativa che assistere online, ma mi chiedo: abbiamo davvero libertà di religione, come predica la nostra Costituzione? La religione sembra non appartenerci; essa appartiene al Partito. Ma i nostri vescovi, che godono dei favori e dei benefici che il Partito concede loro, devono proprio sempre tacere? E il Vaticano, che ha firmato l’Accordo provvisorio due anni fa si rende conto di questo?”.
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