Dopo 25 anni, il "padre dei rifugiati vietnamiti" racconta le difficoltà dell'integrazione
Il p. Quaadvliet ha guidato per oltre un quarto di secolo il Centro per il sostegno ai rifugiati vietnamiti della prefettura di Hyogo: il suo bilancio vede gli immigrati ancora in svantaggio, penalizzati da analfabetizzazione e povertà.
Himeji (AsiaNews/Jcn) Oltre 25 anni spesi al servizio dei rifugiati vietnamiti, cercando di migliorarne istruzione e situazione economica, con l'unico scopo di vederli un giorno membri di diritto della società giapponese. E' questa la "sintesi di una vita" fatta da p. Harry Quaadvliet, sacerdote belga di 76 anni, conosciuto come "il padre dei rifugiati".
E' infatti passato oltre un quarto di secolo da quando gli esuli hanno iniziato a richiedere la cittadinanza permanente in Giappone e il sacerdote, che ora vive alla casa dei padri di Scheut a Himeji, traccia un bilancio della situazione attuale.
Secondo p. Quaadvliet, "la generazione che è arrivata qui quando aveva 20 o 30 anni ora ne ha più di 50 ed entra nella fascia dei cittadini anziani. Tuttavia, molti fra loro ancora non parlano bene la lingua, vivono da soli, sono affetti da malattie o handicap: possiamo dire che non sono inseriti nella società giapponese".
Nel 1979, proprio per aiutare i rifugiati all'integrazione, la Chiesa apre nella prefettura di Hyogo il primo "Centro per il sostegno ai rifugiati" della storia del Paese. In poco tempo, p. Quaadvliet ne diviene la guida e lancia una serie di programmi che cercano di migliorare l'istruzione e la situazione economica dei profughi. Anche dopo la chiusura del Centro, avvenuta nel 1996, egli rimane disponibile per aiutare chi ne ha bisogno.
"I rifugiati racconta non sono arrivati qui per loro scelta: quando sono giunti in Giappone non conoscevano né la lingua né la cultura, e questo ha creato loro moltissimi problemi. La barriera della lingua ha impedito loro di scegliersi il lavoro e la mancanza di studi li ha tenuti molto in basso nella scala sociale".
Naturalmente, "vi sono delle eccezioni, come banchieri, insegnanti e sacerdoti, ma sono poche: la verità è che questi rifugiati non hanno denaro e quindi mandano i figli in cantiere, non a scuola".
Il fenomeno della migrazione dal Vietnam "non appartiene al passato, ma è una realtà che viviamo anche oggi: chi si è stabilito qui chiede ai familiari di raggiungerlo, ma la società giapponese stenta ancora ad accettarli".
Lavorare con loro, conclude il sacerdote, "mi ha sempre ricordato in profondità l'importanza della missione: ormai non posso fare altro che condividere con loro gioie e dolori, ma voglio continuare ad aiutarli fino a che non saranno veramente membri di diritto, in questa società".