Donne malaysiane schiave per le truffe on line a Phnom Phen
La denuncia della Malaysian Chinese Association su un centinaio di ragazze rinchiuse in call center per realizzare reati per via informatica. Punta dell'iceberg di un fenomeno che coinvolgerebbe migliaia di persone in balia di bande criminali legate alla rete dei casinò a cui le autorità cambogiane hanno aperto le porte del Paese.
Kuala Lumpur (AsiaNews) - Almeno un centinaio di giovani donne, alcune anche 17enni, si trovano di fatto detenute in Cambogia, sottoposte a pressioni e anche ad abusi fisici, perché costrette a lavoro schiavo nel settore delle truffe informatiche. A denunciarlo da Kuala Lumpur è la Malaysian Chinese Association, formazione politica di opposizione che raccoglie le istanze dela comunità cinese-malaysiana. In una conferenza stampa hanno reso noto che si sono rivale inutili tutte le richieste di informazioni avanzate alle autorità di Phnom Phen da personalità politiche malaysiane e congiunti delle donne. Dopo essere entrate nel Paese alle donne sarebbe stato consegnato un computer portatile e sarebbero state private della libertà, in condizioni di isolamento, sotto sorveglianza armata a punite se non raggiungono gli obiettivi loro richiesti.
Sono migliaia i cittadini di diversi Paesi asiatici in stato di costrizione in Cambogia, attirati con offerte di lavoro e poi costretti a lavorare in condizioni definibili di schiavitù in diversi settori dei servizi. Si tratta in particolare di giovani donne, costrette a operare nella prostituzione ma anche e in modo crescente nell’ “industria” dei reati per via informatica. Vittime sono soprattutto i loro connazionali nei Paesi d’origine, a beneficio di agguerrite bande criminali in maggioranza connesse con la rete di casinò di iniziativa cinese che si è estesa negli ultimi anni su quasi tutto il territorio del piccolo Paese del sud-Est asiatico. Una presenza accolta dalle autorità di Phnom Phen in cambio di importanti benefici per alcuni settori economici, ma soprattutto per se stesse e per il premier Hun Sen, da 35 anni al potere, che sui legami con Pechino in cambio delle “porte aperte” agli interessi cinesi ha contato per contrastare le critiche internazionali al suo regime autocratico e le sanzioni più volte richieste per punire la repressione di democrazia e diritti politici.
Il caso malaysiano è solo la punta dell’iceberg: anche le autorità thailandesi hanno avviato indagini specifiche e iniziative per cercare di riportare a casa fino a 3.000 cittadini che ritengono in condizione di schiavitù. Da tempo simili iniziative sono state avviate anche dalla diplomazia pachistana, vietnamita e dalle stesse autorità cinesi.