Domenicano irakeno: la missione, salvare i ‘tesori’ della cultura dalla follia jihadista
P. Najeeb Michaeel: “Un uomo senza cultura, è un uomo morto”. Con l’arrivo dello Stato islamico, egli ha trasferito il patrimonio religioso e culturale da Mosul e Qaraqosh al Kurdistan irakeno. Oggi continua la propria opera insegnando il lavoro a cristiani e musulmani. Migliaia i volumi e i documenti secolari salvati grazie al suo lavoro.
Baghdad (AsiaNews) - Per tre anni la sua missione è stata quella di salvare manoscritti e altri “tesori” del patrimonio religioso e culturale irakeno, strappandoli alla barbarie devastatrice e dalla distruzione cerca per mano dei miliziani dello Stato islamico (SI, ex Isis). Oggi, sconfitto sul piano militare il movimento jihadista, il frate domenicano p. Najeeb Michaeel ha deciso di tramandare ad altri appassionati e studiosi le proprie conoscenze in materia.
“Il mio compito - racconta il religioso dal suo alloggio a Erbil, nel Kurdistan irakeno - è quello di salvare il nostro patrimonio, un tesoro significativo”. Perché, aggiunge, non è possibile “salvare un albero, se non si salvano le sue radici”. E un uomo “senza cultura, è un uomo morto”.
Nell’agosto del 2014, mentre i miliziani di Daesh [acronimo arabo per lo SI] si dirigeva verso Qaraqosh e le altre cittadine cristiane della piana di Ninive, egli ha stipato la propria auto con manoscritti rari e volumi preziosi. Alcuni di questi risalgono al 16mo secolo e sono testi unici e insostituibili della tradizione culturale (cristiana e non) della regione.
Per poter compiere la propria missione di salvaguardia del patrimonio dell’Iraq, p. Najeeb ha deciso di trasferirsi nel Kurdistan, assieme ad altri due frati dell’ordine dei domenicani, all’interno del Centro per la digitalizzazione dei manoscritti della tradizione orientale (Omdc). Fondato nel 1990, il centro opera in collaborazione con i monaci benedettini per preservare o restaurare documenti, testi e manoscritti antichi o in cattivo stato di conservazione. Al suo interno vengono anche recuperati i documenti e i manoscritti ritrovati all’interno delle chiese e nei villaggi sparsi nel nord dell’Iraq.
Grazie all’opera meticolosa dei religiosi e del personale che lavora al suo interno, in questi anni sono stati salvati su file digitali fino a 8mila testi della tradizione caldea, sira, armena e nestoriana. Una parte del personale dell’Omdc è formata da “sfollati” [cristiani e musulmani, precisa con una punta di orgoglio] fuggiti durante l’avanzata dell’Isis e che, col tempo, si sono trasformati in “professionisti” della conservazione; questi ultimi hanno anche aperto le porte delle loro case, per ospitare studiosi e ricercatori provenienti da Francia, Italia e Canada. “Lavorano per il futuro - racconta p. Najeeb - e lo sanno. E lo fanno con tutto il cuore”.
In questi anni di follia jihadista, i miliziani dello Stato islamico hanno devastato o trafficato migliaia di reperti e tesori appartenenti al patrimonio artistico, culturale e religioso dell’Iraq. In questi anni diverse personalità della Chiesa irakena, come il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, hanno lanciato appelli a difesa di “tesori che valgono più del petrolio”.
Oggi il centro è impegnato nella produzione di diverse copie dei manoscritti, per garantirne la conservazione. Gli originali vengono poi restituiti ai proprietari, mentre la gran parte dei duplicati in formato digitale vengono pubblicati in rete e resi disponibili al grande pubblico locale e internazionale per la consultazione.
L’archivio, fino al 2007 contenuto all’interno della chiesa di Al-Saa a Mosul, era composto da circa 850 manoscritti in aramaico, arabo e altre lingue, insieme a lettere vecchie di tre secoli e circa 50mila libri. Ed è proprio grazie all’opera dei frati domenicani che a a Mosul, nel lontano 1857, è sorto il primo centro dedicato alla stampa.
“Il mio nome - confessa p. Najeeb - era contenuto all’interno di una lista nera dei jihadisti, con le persone da uccidere”. Rientrato a Mosul alla fine dello scorso anno, per partecipare alla prima messa dell’era post-Daesh egli ha ritrovato la sua chiesa di un tempo in competa rovina. La torre che ospitava l’orologio è andata distrutta, il convento trasformato in prigione e le stanze in centri per la fabbricazione di bombe artigianali e cinture esplosive. “Sono ottimista - conclude - l’ultima sarà una parola di pace, non di violenza”.
17/06/2017 09:49
29/09/2017 08:58