Dieci anni in catene per un matrimonio forzato: l'odissea di Rashida
Rapita a 13 anni e costretta a sposare un musulmano, una ragazza di una familgia di una fornace di mattoni ha subito gravi violenze ed è stata segregata quando si è ribellata per il secondo matrimonio dell'uomo. "Voglio giustizia e la possibilità di riavere i miei figli". Joseph Jansen: "È la dura realtà che continuano a vivere le minoranze in Pakistan".
Okara (AsiaNews) - Fuggita dopo dieci anni da un matrimonio forzato e una conversione forzata, esperienze terribili di cui porta i segni sul suo corpo. Riaccende ancora una volta i riflettori sul problema dilagante della violenza contro le donne in Pakistan la storia di sopravvivenza di Rashida Bibi, una giovane donna proveniente da un'umile famiglia impiegata in una fornace di mattoni del villaggio di Okara.
L'incubo di Rashida è iniziato più di dieci anni fa con il suo rapimento e il matrimonio forzato con Muhammad Riaz: “Mi ha rapita il 23 marzo 2013, quando avevo solo 13 anni - ha raccontato -. I miei genitori hanno fatto del loro meglio, ma non sono riusciti a recuperarmi. Mi ha sposata con la forza e mi ha convertita all'Islam, in questi 10 anni ho dato alla luce cinque figli. Mi ha sempre chiamata Choorhi (il termine usato di solito dai fondamentalisti per gli spazzini in Pakistan ndr). Io stavo lì per i miei figli. Adesso, però, lui voleva sposare un'altra ragazza e io ho resistito. Così il 28 dicembre 2023 mi ha picchiato duramente e mi ha tagliato il naso, i capelli e mi ha fatto anche un taglio sulle parti intime. Poi mi ha segregato per due mesi. Solo nel febbraio 2024 sono riuscita a fuggire dalla sua reclusione e sono tornata dai miei genitori”.
“Dopo la mia fuga – continua la sua drammatica testimonianza - Muhammad Riaz è venuto a casa mia e ha picchiato me e mia madre, che ha riportato una frattura al braccio. I compagni di strada sono intervenuti e ci hanno salvate, la polizia è arrivata sul posto e l'ha arrestato. Ma lo stesso giorno l'ha liberato senza registrare la denuncia”.
La donna ha inoltre raccontato che quando era segregata, non le veniva permesso nemmeno di andare in bagno: “Mi davano da mangiare solo una volta al giorno. Mi sono ammalata durante la reclusione e non mi hanno dato alcuna medicina. Sua madre mi maltrattava, tutta la sua famiglia mi odiava. Di notte mi legavano i piedi e le mani e quando Riaz tornava dal lavoro la sera mi picchiava e mi maltrattava. Ho tre figli e due figlie: voglio vedere i miei figli. Voglio giustizia”.
Joseph Jansen, attivista per i diritti umani, ha sollecitato le autorità a condurre un'indagine approfondita sul caso di Rashida: “Questo è il vero volto della realtà che si cela dietro tutti i rapimenti e i matrimoni forzati di ragazze appartenenti a minoranze - commenta -. Dimostra che rapiscono e sposano ragazze minorenni e quando si stufano si comportano come mostri. Queste ragazze rapite non ricevono mai rispetto e amore. Chiediamo al governo di prendere sul serio questo caso e di rendere giustizia a questa sfortunata ragazza”.
Ha inoltre affermato che le leggi esistenti, volte ad affrontare e prevenire tali atrocità, sono state insufficienti a causa della loro incompleta attuazione. Per superare queste carenze è necessaria una decisa combinazione di volontà politica e amministrativa.