Dhaka: la premier Hasina rifiuta altri aumenti di salario, chiuse 150 fabbriche
Da diversi giorni le donne che lavorano nei più grandi poli industriali che riforniscono le marche internazionali sono scese in strada a protestare. Per timore di ulteriori scioperi i produttori hanno chiuso le fabbriche, mentre la prima ministra del Bangladesh continua a governare con il pugno di ferro.
Dhaka (AsiaNews/Agenzie) - La prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina, ha rifiutato di concedere ulteriori aumenti salariali dopo le proteste dei lavoratori e delle lavoratrici delle fabbriche tessili che hanno chiesto quasi il triplo del salario scontrandosi nei giorni scorsi anche con la polizia, mentre questa mattina sono state chiuse 150 fabbriche “a tempo indeterminato”.
Il 7 novembre un comitato nominato dal governo ha aumentato gli stipendi a 12.500 taka (106 euro) ma le operaie ne chiedevano almeno 23mila (195 euro). Anche le organizzazioni di difesa dei lavoratori hanno definito il nuovo salario un “salario di povertà”.
Oggi i produttori della città industriale di Ashulia, a nord della capitale Dhaka, hanno chiuso 130 fabbriche per timore di altri scioperi. “I produttori hanno invocato la sezione 13/1 delle leggi sul lavoro”, ha detto all'AFP Sarwar Alam, capo della polizia locale.
Ashulia ospita alcune delle più grandi fabbriche del Bangladesh, alcune delle quali impiegano fino a 15mila lavoratori in un unico stabilimento a più piani. Due giorni fa le forze dell’ordine hanno utilizzato anche proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro le lavoratrici in sciopero. Anche a Gazipur, il più grande polo industriale del Paese, almeno 20 fabbriche sono state chiuse a causa delle proteste sul salario minimo, che secondo i commentatori sono state le più grandi da oltre un decennio.
La premier Hasina, rifiutando di concedere ulteriori aumenti, aveva citato la possibilità che gli scioperi potessero costare posti di lavoro: “Se scendono in piazza per protestare su istigazione di qualcuno perderanno il lavoro e dovranno tornare al loro villaggio”, ha detto Hasina due giorni fa riferendosi alle lavoratrici. “Se queste fabbriche vengono chiuse, se la produzione viene interrotta, le esportazioni vengono interrotte, dove saranno i loro posti di lavoro? Devono capirlo”, ha aggiunto.
Nel frattempo le forze di sicurezza hanno intentato causa contro 11mila persone non identificate per un attacco alla fabbrica di abbigliamento Tusuka. Ma la polizia del Bangladesh spesso emette accuse contro ignoti a seguito di violenze politiche. Secondo i rapporti, dalla settimana scorsa le proteste hanno provocato la morte di almeno tre persone e furti in più di 70 fabbriche.
Le proteste stanno infatti diventando un problema politico per la premier Hasina, leader della Lega Awami: nei mesi scorsi è stata più volte criticata per aver governato il Paese con il pugno di ferro, reprimendo il dissenso e qualunque forma di opposizione in vista delle elezioni, per le quali non è ancora stata fissata una data ufficiale. Da mesi il Partito nazionalista del Bangladesh, la principale formazione all’opposizione, chiede l’istituzione di un governo provvisorio e neutrale che conduca il Paese alle votazioni in maniera imparziale e trasparente.
Le 3.500 fabbriche di abbigliamento del Bangladesh rappresentano circa l'85% dei 55 miliardi di dollari che provengono dalle esportazioni annuali, e riforniscono alcune delle più note marche internazionali, tra cui Levi's, Zara e H&M. Ma per le quattro milioni di lavoratrici impiegate le condizioni di lavoro sono terribili, con una paga mensile spesso di appena 8.300 taka al mese (70 euro).