Dhaka: a 11 anni dal crollo del Rana Plaza ancora nessuna sentenza sulle responsabilità
Sono tre i casi ancora depositati in tribunale dopo la tragedia in cui morirono oltre 1.000 lavoratori e lavoratrici del settore tessile. A inizio anno la Corte suprema è intervenuta ordinando la chiusura del processo giudiziario entro luglio. Le vittime raccontano di essere state abbandonate a loro stesse, mentre solo Sohel Rana, proprietario dell'immobile, si trova in carcere.
Dhaka (AsiaNews) - A 11 anni dal crollo del Rana Plaza, non si è ancora concluso il processo giudiziario in cui il principale imputato resta il proprietario dell’immobile, Sohel Rana. E in Bangladesh, secondo più grande esportatore di prodotti tessili al mondo dopo la Cina, le condizioni dei lavoratori del settore non hanno visto grossi miglioramenti.
Il 24 aprile 2013, il decimo piano dell’edificio, che si trova a Savar, alla periferia di Dhaka, crollò intrappolando circa 5mila lavoratori dell'industria tessile. Ci vollero giorni per recuperare i cadaveri schiacciati dalle macerie: 1.135 persone, soprattutto donne, vennero uccise e oltre 2mila persone rimasero ferite, molte in maniera invalidante.
Subito dopo l’incidente vennero depositati tre casi: uno per omicidio premeditato, uno ai sensi delle normative tecniche dell’edilizia, e uno per presunta corruzione nella progettazione dell’edificio. Nessuno di questi casi si è ancora concluso.
Inizialmente progettato per ospitare piccoli negozi, nel corso degli anni il palazzo, all’interno del quale si producevano capi d’abbigliamento per i più grandi marchi internazionali, vide l’aggiunta - senza i regolari permessi - di almeno due piani. Il giorno prima alla tragedia erano state segnalate crepe e irregolarità, ignorate da Sohel Rana, che, al contrario, obbligò i lavoratori a continuare la produzione.
A gennaio di quest’anno l’Alta Corte di Dhaka aveva concesso al proprietario dell’immobile la libertà su cauzione, poi revocata su richiesta dello Stato. È intervenuta la Corte suprema, sospendendo la cauzione e ordinando che il caso venga concluso in sei mesi, per cui si aspetta una sentenza a luglio di quest’anno.
Ma insieme a Sohel Rana sono accusate di omicidio premeditato altre decine di persone, tra cui l’ex sindaco di Savar. Una revisione dei documenti ha rivelato le ragioni dei rallentamenti nel processo giudiziario: alcuni imputati, dipendenti pubblici, sono stati prima inseriti, poi eliminati e poi nuovamente inseriti nei fogli d’accusa. Un processo a parte, solo per capire chi dovesse essere iscritto nei registri d’accusa, ha causato un ritardo di almeno cinque anni, per cui l’ascolto delle testimonianze è iniziato solo nel 2022, a quasi 10 anni dalla tragedia. Dei 594 testimoni elencati nel caso, 84 hanno completato la loro testimonianza. E al momento solo Sohel Rana risulta essere in prigione.
Secondo alcuni commentatori, i ritardi rischiano di non portare giustizia alle vittime dell’incidente. Nilufa Begum, una delle lavoratrici vittima del crollo del Rana Plaza, ha espresso ad AsiaNews le proprie frustrazioni: “Sono passati 11 anni e nessuno ci sta sostenendo oggi”. Nilufa ha subito 11 interventi chirurgici alla gamba ed è in attesa di raccogliere sufficiente denaro per affrontarne un altro ancora. Nonostante il governo l’abbia risarcita con 330mila taka (circa 2.869 euro), ha sottolineato come le grandi industrie, i proprietari dell’edificio e il governo abbiano ignorato la sua condizione e quella di tutte le altre vittime.
Il sindacalista Taslima Akhter sostiene che, nonostante qualche progresso che si riscontra oggi nelle fabbriche del tessile, la vita dei lavoratori non ha subito miglioramenti. Al contrario, i grandi marchi e il governo, dopo il crollo del Rana Plaza, hanno impedito le proteste e ostacolato il raggiungimento della giustizia, ha aggiunto. “Sono necessari ulteriori sforzi per migliorare le condizioni economiche e dei lavoratori, ed è necessario ricordare coloro che sono morti mentre continuiamo la battaglia per coloro che oggi sono qui con noi”, ha detto.