Dhaka: a 10 anni dal crollo del Rana Plaza, pochi i miglioramenti per le lavoratrici del tessile
Il 24 aprile 2013 crollava un complesso commerciale che riforniva i grandi marchi, uccidendo oltre 1.100 persone, di cui la maggior parte donne. Nonostante alcuni progressi iniziali, gli stipendi continuano a essere miseri, i sindacati non hanno possibilità di operare e le sopravvissute alla tragedia hanno difficoltà a trovare un impiego per le condizioni di salute. Il Bangladesh è il secondo esportatore mondiale di indumenti dopo la Cina.
Dhaka (AsiaNews) - Il 24 aprile 2013, nei pressi della capitale del Bangladesh, Dhaka, crollava il Rana Plaza, uno stabilimento commerciale in cui lavoravano circa 5mila persone - di cui la maggior parte donne - per note marche di abbigliamento internazionale. Furono oltre 1.100 le vittime e 2.500 i feriti estratti dalle macerie dopo la tragedia. Il giorno prima del collasso erano state segnalate alcune crepe sui muri e i lavoratori fatti evacuare, ma solo i negozi ai piani inferiori vennero chiusi: i lavoratori del settore tessile, senza un sindacato che li rappresentasse e minacciati di perdere un mese del proprio (già misero) stipendio, furono obbligati a recarsi a lavoro nonostante le precarie condizioni di sicurezza.
Ancora oggi il tessile e l’abbigliamento rappresentano oltre l’80% dell’export del Bangladesh, contro il 78,2% di dieci anni fa, per un valore di 35,87 miliardi di dollari nel 2021 e rendendo il Paese il secondo esportatore mondiale di indumenti dopo la Cina. Se da una parte sono stati fatti grandi passi avanti sulla legislazione in materia di sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, gli stipendi sono invece fermi e la maggior parte delle sopravvissute all’incidente non riesce a mantenere un impiego stabile a causa delle proprie condizioni di salute fisica.
La campagna italiana “Abiti puliti” ricorda che dal 2013 la sicurezza in fabbrica è migliorata grazie al nuovo accordo sulla sicurezza dei lavoratori tessili, entrato in vigore a settembre 2021 e che ha sostituito l’accordo sulla sicurezza degli edifici e in caso di incendio, firmato dai maggiori brand internazionali subito il crollo del Rana Plaza. L’accordo attuale, che ha un mandato di due anni, al momento permette di condurre ispezioni nelle fabbriche, monitorare le azioni correttive, informare i lavoratori in tema di sicurezza sul lavoro e ricevere reclami indipendenti.
Allo stesso tempo, però, anche se il salario minimo per i lavoratori del tessile è stato rivisto, resta fisso a 8mila taka (68 euro), pari alla metà della richiesta dei lavoratori, una cifra che nel 2018 rappresentava un salario di povertà. Nonostante l’inflazione e il generale aumento dei costi, negli ultimi cinque anni lo stipendio dei lavoratori e delle lavoratrici del tessile è rimasto sempre uguale. Allo stesso modo la libertà di associazione continua a essere repressa: dopo la tragedia del Rana Plaza nacquero alcuni sindacati, ma dal 2016 la loro attività è stata sottoposta a crescenti pressioni da parte del governo e oggi riunirsi tra lavoratori rappresenta un rischio.
Anche i risarcimenti ricevuti dai sopravvissuti e dalle famiglie delle vittime sono stati molti bassi: i fondi sono arrivati due anni dopo solo grazie a intense campagne, precisa “Abiti puliti”, e non tutti i marchi che si rifornivano dalle fabbriche del Rana Plaza hanno pagato.
La condizione dei sopravvissuti è stata invece pressoché ignorata: in base a un ricerca di ActionAid Bangladesh, che ha intervistato 200 lavoratrici, la maggior parte (il 54,5%) risulta disoccupata, di cui l'89% è rimasto senza lavoro negli ultimi 5-8 anni. Il 21% delle intervistate “ha dichiarato di non riuscire a trovare un lavoro adeguato a causa delle condizioni di salute fisica - come problemi respiratori, lesioni alle mani o alle gambe, problemi di deambulazione o problematiche agli occhi - che continuano a essere un ostacolo significativo alla ricerca e mantenimento di un’occupazione”, ha fatto sapere l’ong in un comunicato.
È peggiorata inoltre la salute psicosociale delle lavoratrici: il 57,8% vive nella paura a causa dell'esperienza del crollo, mentre il 28,9% ha riportato forti preoccupazioni per la propria sicurezza. Lo studio conferma che il collasso del Rana Plaza ha avuto conseguenze sul reddito familiare per gli scarsi risarcimenti e la mancanza di risparmi, mentre gli attuali lavoratori hanno segnalato preoccupazione per la propria sicurezza sul lavoro, hanno evidenziato diversi rischi (legati per esempio alla ventilazione e all'illuminazione inadeguata) e la mancanza di dispositivi antincendio o di uscite di emergenza.