Dalle lacrime alla gioia, il trionfo di Tsai Ying-wen
Il primo presidente donna di Taiwan ha iniziato la sua scalata al successo “grazie” alla sconfitta del Partito democratico del 2012: con umiltà e voglia di rappresentare tutti, ha ottenuto una vittoria storica. L’impegno a non creare mutamenti dannosi per l’Asia si coniuga con la “necessità” di non nascondere la propria identità, anche davanti a un colosso come la Cina.
Taipei (AsiaNews) – La vittoria travolgente di Tsai Ting-wen (蔡英文) alle urne è paradossalmente iniziata dalle lacrime. Erano le lacrime della bruciante sconfitta da lei subita nel 2012, quando per la prima volta si era presentata alle elezioni presidenziali che avevano invece suggellato il secondo turno del presidente Ma Ying-jeou (馬英九). Ma nel famoso discorso dopo la sconfitta, in quel 14 gennaio 2012, tra Tsai Ying-wen e moltissimi taiwanesi non solo del Partito Democratico Progressista (Dpp, 民進黨) era nato un feeling speciale.
Dopo l’arresto per corruzione dell’ex presidente Chen Shui-bian (陳水扁), nel 2008, il partito era entrato in crisi di identità. Era stato tradito dal suo rappresentate principale, la gente sentiva che la sua fiducia era stata mal posta. Ma doveva pur esserci qualcuno in grado di raccogliere la sfida e di impegnarsi in politica in maniera onesta per la gente semplice.
Fino a quel momento Tsai Ying-wen era uno dei tanti candidati non eletti destinati al dimenticatoio, ma dalla sera della sconfitta nelle presidenziali del 2012 lei è diventata “la” candidata speciale. Si era sotto la pioggia, i giornalisti erano inzuppati d’acqua e i sostenitori piangevano. Tutti: giovani, adulti e anziani. Quella sconfitta faceva svanire molte speranze, le speranze di essere ascoltati dalla gente al governo.
Non tutti scommettevano ancora su Tsai Ying-wen, c’erano critiche diffuse, e c’era soprattutto disillusione. Ma lei in quei venti minuti di appello coraggioso ha cambiato lo spirito dei suoi sostenitori. Ha parlato di una vittoria che prima o poi sarebbe arrivata e che bisognava con umiltà rimboccarsi le maniche e ripartire, e che lei sarebbe stata pronta a raccogliere una nuova sfida e a rappresentare tutti, perchè Taiwan appartiene alla sua gente, a tutti i suoi abitanti. Concludeva dicendo che “la sconfitta di queste elezioni non ci fermerà”.
In quei venti minuti di appello forte e sincero, la sua immagine è cambiata nella mente di tutti. Lei si riproponeva come leader, e come chi sapeva quale strada percorrere. Una cosa strana da dire la sera della propria sconfitta, ma lei sentiva che le potenzialità c’erano, non bisognava arrendersi.
Ebbene, le elezioni del 16 gennaio hanno dimostrato in maniera chiara che lei aveva ragione. La gente da ieri si sente di nuovo rappresentata. Dopo una settimana di pioggia, inaspettatamente il giorno delle urne si è avuto tempo sereno, cosa che ha spinto moltissimi ad andare a votare, e solo ieri ha ricominciato a piovere.
“Anche Dio è con Tsai Ying-wen e il suo vice Chen Chien-jen (陳建仁)” scherzava ieri un sostenitore. Ed è una vittoria schiacciante e meritata. Passata attraverso il sostegno di moltissimi giovani, che, dopo le proteste organizzate dagli studenti due anni fa con la relativa occupazione del parlamento, si sono riavvicinati alla politica e al futuro di Taiwan.
Non è facile essere un cittadino di Taiwan. Tsai Ying-wen lo scorso maggio si è recata negli Stati Uniti per rassicurare sul fatto che non avrebbe creato instabilità in questa regione dell’Asia. Ma nel discorso pronunciato dopo il trionfo, ha ripetuto con fermezza che non bisogna vergognarsi di quello che si è, di dove si è nati e della propria storia. E che bisogna lavorare con umiltà e ascoltare la voce di tutti. È questa parola che ritorna sempre nei suoi appelli e nei suoi discorsi: “umiltà”. Avevo avuto l’opportunità di intervistarla un paio di anni fa, poco prima del movimento dei girasoli (太陽花學運), e ho contato poi il numero di volte che ha usato “umiltà” in quei quaranta minuti di intervista: quattordici.
Ora il lavoro che la aspetta non è semplice. Dalla disillusione di molti giovani verso il futuro, i salari bassi e le abitazioni troppo care per permettersele, fino alle relazioni internazionali e al grande problema del crescente inquinamento in questa parte dell’Asia. Ma lei non è nuova a tutto questo.
È stata per anni esperta di diritto commerciale internazionale anche per questo chiamata a collaborare dietro le quinte degli accordi firmati dal governo di Taipei con altri paesi, sia per il GATT (General agreement on tariffs and trade, 關稅暨貿易總協定) nelle sue modifiche del 1994 e per i successivi accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO, 世界貿易組織) in un consesso multilaterale, sia per lo studio delle relazioni economiche bilaterali con singoli Paesi.
Sa come ci si muove in questi ambienti. E lei ha fatto il suo dottorato alla London School of Economics ed è stata insegnante di diritto alla National Chengchi University a Taipei (國立政治大學).
Nata nel sud dell’isola da una famiglia numerosa, è poi cresciuta a Taipei. Intervistata lo scorso mese in un programma televisivo, le è stato chiesto se aveva già pensato da giovanissima di candidarsi alla presidenza: “Non ne avevo la più pallida idea, anzi, dopo l’università in Inghilterra avevo pensato di trasferirmi a vivere a Singapore, solo grazie ad una telefonata di papà sono tornata a Taiwan”. Grazie a tanti piccoli eventi provvidenziali come questo, da ieri lei ora rappresenta la grande speranza di tutte quelle umili persone che si sentivano “non ascoltate” dai grandi attori politici.
16/01/2016 12:49
08/06/2020 14:53