Dalla giunta segnali contrastanti alla vigilia dell’arrivo di Gambari
Domani l’arrivo a Yangon dell’inviato speciale Onu, mentre circolano voci sulla possibile espulsione del più alto diplomatico delle Nazioni Unite in Myanmar, Charles Petrie. Il regime limita di nuovo l’accesso a internet e avverte i monaci a Pakokku di non scendere in piazza. Leader sindacalista, scettico sui risultati della missione di Gambari, lancia un appello per misure efficaci.
Yangon (AsiaNews) - Tensioni con l’Onu, nuove restrizioni all’accesso internet, “avvertimenti” ai monaci buddisti di non partecipare a manifestazioni e nuove violenze nelle carceri. Così la giunta birmana si prepara a ricevere, per la seconda volta in un mese, l’inviato speciale Onu in Myanmar, Ibrahim Gambari, il cui arrivo è previsto per domani a Yangon. Secondo fonti diplomatiche, il governo si prepara intanto ad espellere il capo della missione Onu, Charles Petrie, per una dichiarazione diffusa il 24 ottobre sulla preoccupante miseria nel Paese. Petrie è stato convocato a un vertice nella nuova capitale dell'ex Birmania, Naypydaw, per essere richiamato ufficialmente su quel testo.
Dubbi sulla riuscita della missione Onu
Petrie, il più alto funzionario Onu a Yangon, stava lavorando a preparare il terreno per la missione di Gambari. Durante il suo viaggio, l’inviato Onu dovrebbe incontrare esponenti della società civile, oltre che la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi e alcuni generali della giunta. Il 24 ottobre le Nazioni Unite hanno denunciato l’aumento della povertà nel Paese - con un Prodotto interno lordo pari a meno della metà di quello di Cambogia o Bangladesh - e la drammatica situazione sanitaria. A dire della giunta, la dichiarazione infanga l’immagine del Paese e compromette la collaborazione del governo con l’Onu.
Intanto analisti e attivisti birmani dubitano che la visita di Gambari (3 – 8 novembre) possa portare risultati effettivi. In un appello diffuso oggi, U Maung Maung - segretario generale del National Council of the Union of Burma (NCUB), che opera dal confine con la Thailandia – si dice “incoraggiato” dall’arrivo di Gambari, ma ritiene che “quattro giorni siano pochi per risolvere i problemi del Myanmar”. Il sindacalista chiede, quindi, all’Onu e alla comunità internazionale, come primo passo concreto per aiutare il suo Paese, di “aprire un ufficio delle Nazioni Unite a Yangon che possa monitorare la situazione 24 ore su 24 e fare rapporto”.
Proteste e repressione non si fermano
Nel frattempo il governo si assicura che durante la permanenza dell’inviato Onu la situazione non gli “sfugga di mano”. Da più di 24 ore l'accesso a internet è pesantemente limitato, con gli utenti che non riescono a connettersi ai siti internazionali. Alla fine di settembre la giunta aveva già interrotto i collegamenti internet, per non permettere che fossero diffuse informazioni e immagini della repressione contro i monaci buddisti.
Dopo la manifestazione del 31 ottobre a Pakokku, dove circa 200 bonzi sono tornati per la prima volta a manifestare dopo settimane, le autorità locali hanno avvertito gli amministratori dei monasteri di impedire che i religiosi scendano di nuovo in piazza. Lo hanno riferito in forma anonima al sito Democratic Voice of Burma alcuni monaci.
Nonostante l’inaudita violenza usata dai militari contro civili e bonzi, torturati, scomparsi o cremati, la popolazione non cede e la protesta silenziosa continua. I religiosi buddisti vanno avanti con il boicottaggio delle offerte da parte di familiari e membri della giunta, gesto di dissenso molto forte in un Paese profondamente religioso come il Myanmar. Giungono notizie, inoltre, di proteste anche dentro le carceri: due giorni fa nella prigione Insein un gruppo di 70 detenuti si è ribellato contestando ad alta voce le immagini “false”del notiziario di Stato. I secondini sono intervenuti con la forza e due persone sono rimaste gravemente ferite.
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