Dalla Colombia al caos di Dhaka: La gioia della missione, una nuova forza spirituale
Dhaka (AsiaNews) – È passato quasi un anno dall’arrivo in Bangladesh di p. Danilo Goméz, sacerdote colombiano. Originario della diocesi di Sonsón-Rionegro, dopo un breve periodo in Italia è partito alla volta del Paese dell’Asia meridionale come associato del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). In una lettera inviata ai suoi amici e qui pubblicata p. Danilo racconta con entusiasmo i suoi primi passi in questa terra straniera. Dallo studio continuo della lingua locale, alle prime messe celebrate in bengalese; la “realtà unica al mondo” del traffico di Dhaka, la capitale; l’accoglienza calorosa della popolazione; il ruolo fondamentale della religione nella vita quotidiana della popolazione. E sebbene molte siano “le disuguaglianze sociali, le ingiustizie, la corruzione politica, e altri fattori che fanno sì che la ricchezza sia nelle mani di pochi e i poveri non abbiano accesso ad una vita dignitosa”, per il sacerdote si tratta di “un’esperienza molto bella e arricchente”, che sta “fortificando la mia vita spirituale”. Di seguito, il testo integrale della lettera.
Carissimi,
la gioia, l’allegria, la grazia e l’amore di Dio siano sempre con tutti voi. Saluti di pace e bene dal Bangladesh. Sono lieto di scrivervi, sperando che siate in buona salute, e che tutto venga fatto per la gloria di Dio e la salvezza di coloro che il Signore ci ha affidato. Ricordo tutti voi nella preghiera, nella Messa quotidiana e nel mio lavoro apostolico. Ringrazio Dio per voi e per tutto il bene che mi avete fatto.
Ormai è passato quasi un anno, dal mio arrivo qui in Bangladesh. Vi ringrazio per la vostra gentilezza e pazienza nei miei riguardi. I giorni che ho passato in mezzo a voi sono stati indimenticabili, mai dimenticherò il calore di una casa, il profumo del cibo di casa. Il gusto e la gioia di una casa sono unici, e trovare un altro posto non è cosa facile, direi quasi impossibile. L’amore della famiglia, la grazia che ho ricevuto da Dio di chiamarmi ad essere suo ministro, i luoghi dove ho lavorato nella diocesi, imparando altre lingue... conoscendo altri luoghi (Italia, Irlanda, Bangladesh), ecc... Così, ricordando tutti voi e tutti questi luoghi, prego che il Signore vi conceda il doppio di tutto quello che mi avete dato.
Vi parlo ora del mio percorso missionario qui a Dhaka, in Bangladesh, del mio studio della lingua; e, in qualche modo, di questa nazione confinante con l’India da ogni lato, tranne nel sud-est al confine con il Myanmar; delle persone e di altre curiosità che hanno richiamato la mia attenzione.
Ho quasi terminato un anno di studio del Bengoli, che è lingua di questo Paese asiatico, il Bangladesh: più di 160 milioni di abitanti in una superficie di 147,570 km2, con capitale Dhaka. Lo studio del linguaggio è naturalmente parte della preparazione della missione che sto realizzando.
Ho conosciuto e visitato alcune parti del Bangladesh per raccontare le loro storie e mostrare il loro Paese: Dinajpur, Suihari, Dhanjuri, Nagori, Modbari, Tumilia, Borni, Girani nella zona industriale della capitale, ecc... il Bangladesh è conosciuto come il Paese (desh) della lingua (bangla). Bangla o Bengoli è il nome di questo linguaggio derivato dal sanscrito, con qualche influenza persiana e araba. Il Bangladesh è bagnato da più di 700 fiumi, i più importanti sono il Padma, il Meghna, il Gange e il Brahmaputra (qui chiamato Jamuna)... e dal Golfo del Bengala, situato a sud.
La gente è molto aperta e gentile, molto ospitale e lavoratrice. Le loro famiglie sono grandi e le loro case piccole. La densità di popolazione (oltre 1000 abitanti per km2) è una delle più alte del pianeta. Il Bangladesh è anche ricco di frutta, così che ogni mese è possibile mangiare frutta di stagione: lichi, mango, papaia, ananas, jackfruit, banane, cocco, guaba e altri frutti di questo Paese asiatico.
Riso, pesce, carne, pollo, lenticchie, peperoncino e verdura sono gli alimenti principali. Ma sono comuni anche il pane (chiamato pita) senza lievito, e vari dolci preparati con riso, banane, latte e spezie.
La bevanda che accompagna ogni alimento è l’acqua e, naturalmente, non può mai mancare per i pasti di tutti i giorni, o per intrattenere gli ospiti con un buon tè caldo, acqua, vari dolci, salatini e frutta fresca.
Qui la religione gioca un ruolo molto importante perché è un Paese musulmano: per fare un esempio, l’alcol è vietato dalla legge. In Bangladesh vi è una minoranza induista, buddista, religioni naturali, e anche una presenza cristiana dello 0,5%. La vita ruota attorno alla vita religiosa come il Ramadan, il sacrificio di Isacco, Eid per i musulmani, che conclude il Ramadan, il mese di digiuno musulmano. In questo giorno si prega nelle moschee, si indossano abiti nuovi, si festeggia con ottimo cibo (che si deve dividere con i poveri). Per gli indù durante l’anno vi sono le Puja, per noi cristiani naturalmente Natale, Pasqua ed altre ricorrenze.
In tutto quest’anno ho vissuto nella capitale Dhaka, nella casa del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), con un sacerdote che gestisce questa casa, padre Giovanni Beretta, e anche con padre Belisario, mio collega missionario. Durante la settimana celebriamo la Messa, lo studio del Bengoli, i pasti insieme e l'opportunità di pregare, leggere e navigare in internet.
Durante la settimana visitiamo anche alcune case religiose per celebrare la Messa in lingua inglese (questi i nomi delle comunità che abbiamo visitato: Suore di Maria Bambina, Holy Cross Brothers, le Suore RNA), e per condividere un po’ con loro; alcuni giorni alla settimana celebriamo in italiano alla casa del PIME.
Anche durante questo periodo abbiamo potuto visitare alcune missioni per fare pratica delle poche parole che conosciamo nella lingua locale. Padre Belisario a Utoli, non lontano dalla capitale Dhaka. E io a Mirpur, Dhaka, nella parrocchia Regina degli Apostoli. In questa parrocchia ci sono due sacerdoti italiani, padre Quirico Martinelli (il parroco), padre Emanuele Melli ed un fratello Alessandro Marangi, tutti del PIME.
La parrocchia accoglie anche un gruppo di studenti che studiano diverse materie al liceo e, durante il soggiorno in parrocchia, sono in grado di discernere se diventare parte del PIME, come seminaristi e iniziare il processo di formazione come missionari ad gentes et ad vitam nell’Istituto.
Da un mese e mezzo, d’accordo con il superiore del Pime in Bangladesh, Padre Franco Cagnasso, padre Belisario e io siamo in due missioni, per mettere in pratica ciò che abbiamo imparato alla scuola di Bangla. Il padre Belisario è nella zona industriale denominata Girani, dove ci sta il centro chiamato Gesù lavoratore, la cui missione è quella di ospitare i giovani che lavorano nelle fabbriche circostanti, per un anno o più, se necessario, prima che possano organizzarsi per proprio conto. Il centro offre anche un supporto per i cristiani che sono presenti nella zona. Inoltre offre funzioni religiose nella cappella della missione, centro di ascolto e visita alle famiglie.
Io invece sono a Mirpur, una zona della città di Dhaka abbastanza grande, e la parrocchia di cui vi ho parlato serve un numero considerevole di cristiani (circa 2000). Inoltre, la parrocchia ha un posto per ospitare malati, inviati per cure a Dhaka da varie parti del Bangladesh da vescovi, sacerdoti, religiosi e catechisti; i malati e i loro accompagnatori vengono portati in macchina nei vari ospedali per le visite mediche e per altre esigenze. Inoltre la parrocchia si occupa di 12 giovani, come ho già detto, che studiano negli istituti scolastici, e collaborano nella parrocchia in diversi eventi, programmi, feste ecc.
Non sono in parrocchia tutto il tempo: continuo ad andare a scuola di Bangla, integrata da lezioni private, due ore da lunedì a venerdì, con la professoressa Snydha Bryan. Durante la settimana celebro la Messa in Bangla sia nella parrocchia che nella casa delle Suore del PIME (Missionarie dell’Immacolata), non lontana. Il sabato e la domenica ho sempre la Messa con omelia in Bangla. L’omelia la posso fare in Bangla, grazie a suor Clara, suora di San Luigi Gonzaga, che mi dà generosamente il suo tempo onde tradurla.
L’esperienza è stata molto speciale, anche perché grazie all’Ambasciatore della Colombia a Delhi, in India, nei giorni scorsi è venuta a visitarci Paula, il console onorario della Colombia qui in Bangladesh. Ha chiesto l’elenco dei colombiani, qualcuno ha riferito che vi erano anche due sacerdoti. Così, alcuni giorni dopo, la nostra Console ha contattato padre Belisario, ed abbiamo avuto l’opportunità di incontrarla, con un gruppo di latino-americani e di altri Paesi in Europa. Adesso celebriamo la messa con loro nelle famiglie, in spagnolo e dopo la Messa condividiamo cibi tipici dell’America Latina e di altri posti.
Ora torniamo al contesto del Bangladesh. Mi ha colpito lo stile di vita semplice del Bangladesh, le persone si sentono bene e felici nella loro piccola casa, dove hanno il letto, pochi effetti personali, mentre i servizi e la cucina sono all’esterno. Quando andiamo a trovarli offrono sempre il meglio che hanno, perché vogliono farti sentire bene. Hanno sempre desiderio che si torni a trovarli, per loro avere in casa uno straniero è una nuova esperienza e una gioia. Molte sono però le disuguaglianze sociali, le ingiustizie, la corruzione politica, e altri fattori che fanno sì che la ricchezza sia nelle mani di pochi e i poveri non abbiano accesso ad una vita dignitosa.
Un’altra realtà unica al mondo, perché non l’ho vista da nessun’altra parte, è il traffico caotico della capitale Dhaka: è davvero incredibile come si muovono con una bicicletta, moto, auto, bus, furgoni, piccoli autobus, ecc. Noi diciamo sempre “sappiamo quando partiamo ma non quando arriviamo”.
Da parte mia, posso dire che l’esperienza è molto bella e arricchente, la sto vivendo anche migliorando il mio inglese, leggendo, scrivendo e fortificando la mia vita spirituale.
Grazie a Dio sto bene in salute, e sono contento del mio lavoro apostolico. Ringrazio Dio e tutti quelli che mi seguono con il loro amore e soprattutto con la loro preghiera per compiere la missione che mi è affidata.
Aiutare gli altri è sempre un obbligo e un carisma della fede cristiana. Tra noi molti vivono in condizioni di povertà, di mancanza di lavoro, quindi a volte chiedono di lavorare, come d’altronde al mio Paese.
Ricordo che un giorno andavo a visitare un amico, e l’autista del baby-taxi, dopo il rito della presentazione (nome, Paese d’origine, ...) mi chiede qual è la valuta del mio Paese. Ho spiegato che era il peso. Contento mi ha detto, “dammi qualche peso”... “ma io non porto con me la valuta del mio Paese”. Così siamo rimasti in silenzio. Ha rotto il silenzio e mi ha detto di dargli mille taka, che per noi non è molto. Ma con quei soldi, avrebbe potuto comprarsi una camicia, un Longi (gonna indossata da uomini in Bangladesh come i pantaloni). Ma non ho risposto, così ha smesso di insistere.
Ho anche conosciuto alcuni colombiani che lavorano qui in Bangladesh ed ho potuto apprezzare anche qui il cibo del mio Paese. Grazie ad uno di loro, Carlos Zuluaga, di Manizales, ho potuto gustare i piatti tipici della mia terra, come il pollo con patate e riso, polenta, formaggio e arepas. Così Dio ci dà più di quello che abbiamo chiesto.
Vi ho detto molte cose non sempre collegate tra di esse, ma l’intenzione era quella di mostrare un po’ di quello che ho vissuto in questa grande nazione dell’Asia. In passato chiamata “tomba dell’uomo bianco”. La terra della Tigre del Bengala, del cricket, del tè, del riso, del katal, del nomoskar; il Paese dei fiumi, il popolo della lingua Bengoli. La nazione confinante con India e Myanmar. La terra dei Santal che vivono nella regione di Dinajpur; degli Orao e Garo che abitano Mymensingh; dei Marma e dei Chakma che vivono tra le colline al confine con l’India e Myamar, vicino alla città portuale di Chittagong; delle piantagioni del riso di Dinajpur, dei manghi di Rajshahi; il Paese del jackfruit (Katal). Del folle traffico di Dhaka. Della zona industriale di Savar. Delle piantagioni di tè e delle verdi colline del Sylet. Dell’Hilsha, pesce nazionale. Della sapla, fiore nazionale, che cresce nei laghi della nazione. Paese dell’est dove il sole si alza imponente e magnifico per dare luce e vita a un nuovo giorno. Paese dove il musulmano prega cinque volte al giorno, con la chiamata dell’Imam, dalla torre della moschea.
Paese dove il saluto è una parte essenziale della cultura e della vita quotidiana. Il Nomsokar che si esegue giungendo le mani al petto e inchinandosi verso la persona per salutarla; Jesu Pronam, il saluto tra i cristiani, quando prendono la mano del sacerdote, la portano sulla fronte e poi la baciano o il semplice saluto nel portare le mani insieme sul petto e inchinarsi verso la persona senza parlare; Assalamualaikum, il saluto musulmano, che vuol dire “la pace di Allah sia con te”; tata, per salutare i bambini e anche per dire addio... koda hafesh, espressione di origine persiana, per dire addio... e Abar dekahobe, saluto che significa “ci vediamo”, “torna”.
Infine, vi mando la mia benedizione, saluti a tutti e conto sempre sulla vostra preghiera.
Nelson Danilo Gómez Giraldo, sacerdote.
Bangladesh, Dacca, Sabato 18 luglio 2015.
Bangladesh, Dhaka, 3 del mese di Srabon dell'anno 1422. Nel giorno della festa musulmana dell’Eid, l'ultimo giorno del digiuno islamico (Ramadan).