10/07/2024, 13.07
INDIA
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Dalla Chiesa 600 case per gli sfollati del Manipur

di Nirmala Carvalho

Oltre 60mila le persone sfollate a seguito delle violenze tra i gruppi etnici Meitei e Kuki iniziate nel maggio 2023. L'arcidiocesi di Imphal ha avviato la costruzione di unità abitative per chi ha perso tutto. Il vicario generale p. Varghese Velickakam: "Gli sfollati desiderano vivere in pace e dignità". Anche i sacerdoti cattolici di tutta l'India mobilitati per sostenere i costi con una colletta comunitaria.  

Imphal (AsiaNews) - Un progetto di riabilitazione abitativa per portare sostegno alle numerose famiglie sfollate del Manipur, vittime delle violenze tra i gruppi etnici dei Meitei e dei Kuki scoppiate nel maggio 2023. È il nuovo volto dell'impegno concreto portato avanti dall'arcidiocesi cattolica di Imphal per far fronte a questa grave crisi, che in poco più di un anno ha provocato più di 200 morti e lasciato dietro di sé ferite profonde. Sono tuttora decine di migliaia le persone senza un proprio tetto dopo essere fuggite dal proprio villaggio per sfuggire alle violenze. Per la comunità di Kuki, formata nella stragrande maggioranza da cristiani, l'arcidiocesi sta promuovendo la costruzione di 600 casette in muratura, con un impegno finanziario di 500mila rupie (circa 5500 euro ndr), racconta ad AsiaNews p. Varghese Velickakam, vicario generale dell'arcidiocesi di Imphal, che coordina i soccorsi.

“Gli sfollati interni a Munbi, nella parrocchia di Singangat, nel distretto di Churachandpur, Stato indiano del Manipur, sono stati sistemati in case di nuova costruzione. Sono le vittime della violenza in Manipur. Questo progetto è possibile grazie alle diocesi, alle congregazioni e al contributo dei singoli”, racconta p. Velickakam. Per sostenere questi sforzi anche la Conferenza dei sacerdoti diocesani dell'India (CDPI) ha lanciato la campagna “Almeno 500 rupie per il Manipur", invitando ogni sacerdote del Paese a contribuire. La raccolta fondi durerà fino ad agosto 2024 e i contributi saranno destinati all'arcidiocesi di Imphal, con l’obiettivo di portare a termine il progetto abitativo entro febbraio 2025.

La sfida non riguarda solo la ricostruzione delle strutture fisiche - centinaia le case distrutte durante le violenze - ma anche il supporto spirituale a quanti hanno subirono le conseguenze degli scontri. “Gli sfollati interni sono persone che lavorano sodo e che desiderano fortemente vivere in dignità e in pace. Hanno ancora bisogno di un tavolo da pranzo, di sedie e di qualche abito nuovo per un minimo di benessere", aggiunge p. Velickakam.

Le violenze l'anno scorso scoppiarono a seguito di una sentenza dell’Alta Corte del Manipur, che aprì alla concessione dello status di tribù classificata (che tutela i gruppi svantaggiati soprattutto nelle questioni legate alle terre) anche alla comunità maggioritaria dei Meitei, in maggioranza indù. Oltre tre quarti delle decine di migliaia di sfollati si stima siano rimasti all’interno dello Stato, quasi un quinto si è trasferito nel vicino stato di Mizoram, mentre una quota ancora minore in Nagaland e Assam. Molti sono sistemate nella parrocchia di Singangat, nel distretto di Churachandpur, dove prevale la comunità Kuki-Zou, cristiana in uno Stato governato dai nazionalisti indù del Bjp.

L’altro distretto, nel quale si sono rifugiate circa 45mila persone, è quello di Kangpokpi. “Stiamo provvedendo alla riabilitazione delle case soprattutto per i cattolici della parrocchia di San Giuseppe di Sugnu, nel distretto di Chandel”. Solo questa parrocchia ha perso 1200 case appartenenti a famiglie cattoliche, che si aggiungono alle altre numerose abitazioni ubicate nella periferia di Imphal. “Hanno perso tutto: terreni, case, veicoli e mezzi di sostentamento, istituzioni educative”, spiega ancora il vicario generale dell'arcidiocesi di Imphal.

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