Dalai Lama: la Cina si comporta “come un bambino” che ha paura
Dharamsala (AsiaNews) – La Cina, “una Nazione così grande, si comporta come un bambino”: il governo arresta “regolarmente” chi è in dissenso verso la sua politica. Ma “una grande Nazione di oltre un miliardo di persone non deve avere paura” di ogni minimo dissenso. Il Dalai Lama, leader tibetano in esilio, fa una dura critica della Cina, gigante economico e militare ma privo di autorità morale.
Durante una conferenza stampa a Tokyo oggi, il Dalai Lama ha insistito che appena “una o due persone hanno opinioni differenti [rispetto al governo], subito hanno problemi con le autorità. Ma voi [la Cina] siete una grande Nazione. Dovete avere più autoconsapevolezza”.
La Cina è “una potenza demografica, una potenza militare, una potenza economica. Ora la quarta condizione perché diventi una superpotenza è l’autorità morale… In questo è carente. L’autorità morale è davvero essenziale. La chiave è la fiducia. I segreti di Stato distruggono la fiducia. Questo è il più grande ostacolo” all’effettiva autorità mondiale della Cina. “Una ragione di debolezza del governo cinese – aggiunge – è che non c’è trasparenza, dà sempre notizia distorte”.
In questi mesi decine di tibetani sono stati condannati al carcere e all’ergastolo, alcuni alla pena capitale, per le proteste contro l’occupazione cinese scoppiate nel marzo 2008. Pechino dice che i dimostranti hanno ucciso 21 persone, soprattutto etnici han. Il governo tibetano in esilio denuncia che oltre 200 pacifici dimostranti sono stati uccisi dall’esercito e migliaia arrestati.
Il Dalai Lama non ritiene che i processi contro questi tibetani siano stati equi e dice che “queste sentenza sono tutte motivate politicamente… La Repubblica popolare di Cina non è uno Stato di diritto, il sistema giudiziario non è indipendente. Tutto è controllato dal Partito comunista”.
Pechino accusa il Dalai Lama di essere un separatista che incita il popolo alla secessione, ma il leader ritorce l’accusa e dice che sono le azioni delle stesse autorità cinesi a fomentare la “separazione”, perché i tibetani sono trattati in modo iniquo e così indotti ad opporsi e a protestare.
Ieri i gruppi tibetani in esilio sono stati molto critici per la condanna di 3 dimostranti tibetani al carcere a vita o alla pena capitale, perché ritenuti colpevoli di avere appiccato incendi che hanno causato la morte di alcuni cinesi, durante le proteste nel marzo 2008. Il Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia accusa che il processo non è stato equo e si è svolto in segreto dopo che gli accusati sono stati oltre un anno in carcere.
Sempre ieri a Lhasa è iniziato il processo contro il lama Phurbu Tsering Rinpoche di Ganzi (Sichuan), molto amato e rispettato dai tibetani, in carcere dal 18 maggio 2008 con l’accusa di possesso illegale di una pistola e proiettili, trovati presso la sua abitazione dalla polizia durante una perquisizione. Rinpoche nega l’accusa e il suo avvocato, Li Fangping di Pechino, denuncia che la polizia gli ha estorto una confessione dopo 4 giorni di interrogatorio e di minacce di arrestare la moglie e il figlio.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)