Dal Myanmar alla Guinea Bissau: 12mila km per annunciare il Vangelo
La vocazione di p. John alla vita missionaria nasce dall’incontro con un sacerdote del Pime. È arrivato in Africa dalla lontana Loikaw: “Ero pronto e disponibile ad accettare qualsiasi destinazione”. “Ascoltare, vedere, imparare” per superare l’impatto con una realtà così diversa.
Roma (AsiaNews) – Desiderare di trasmette ad altri la fede in Cristo, ricevuta attraverso il sacrificio di tanti missionari: è ciò che ha spinto p. John Phe Thu, sacerdote birmano del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), a percorrere 12mila chilometri per annunciare il Vangelo in Africa. La Guinea Bissau è infatti la sua terra di missione dal 2011.
Il sacerdote nasce nel 1976 a Mye Ni Kone, nella municipalità di Loikaw (Stato di Kayah). Insieme a Taunggyi (arcidiocesi), Toungoo, Kengtung, Lashio e Pekhon, essa è una delle sei diocesi create dai missionari del Pime nei 150 anni di presenza in Myanmar. La presenza dell’Istituto milanese ha attraversato alcune delle fasi più critiche della storia del Paese. Il ricordo dei missionari è ancora vivo tra i cattolici ma p. John non avrebbe mai pensato di condividerne l’esperienza sacerdotale.
“La mia vocazione – racconta il sacerdote – nasce quando, adolescente, ancora non sapevo dove informarmi o cosa fare per diventare prete. In principio, volevo diventare prete diocesano perché non ero a conoscenza delle diverse figure sacerdotali. A 21 anni ho iniziato la mia formazione religiosa a Taunggy, dove ho incontrato alcuni missionari del Pime; in particolare, p. Adriano Pelosin. Mostrandoci il significato della vita missionaria, egli ci coinvolgeva in programmi ed iniziative caritatevoli nei villaggi vicini”.
P. John scopre così “un altro modello di vita consacrata”. “Dalla storia della Chiesa di Loikaw – afferma – poi ho capito: la fede che io avevo ricevuto era frutto del sacrificio dei tanti missionari. Da qui è nato il mio desiderio di trasmetterla ad altri, come hanno fatto loro. Tornato a casa, ho incontrato il mio vescovo: eravamo in tre a voler entrare nel Pime. ‘Vi attende una vita difficile ma se questa è la vostra volontà, andate’, ci ha detto. Siamo dunque entrati nel seminario dell’Istituto: due anni a Roma e quattro a Monza”.
“Ero pronto e disponibile ad accettare qualsiasi destinazione”, dichiara p. John. Ordinato sacerdote nel 2010, il missionario arriva in Guinea Bissau nel 2011. “La gioia di partire era più grande di ogni paura. Di fronte ad una cultura così diversa, dovevo avere pazienza e imparare a capire la popolazione locale, senza giudicarla. Mi ripetevo ciò che mi avevano insegnato i miei confratelli: ‘Ascoltare, vedere, imparare’”.
P. John trascorre i primi tre anni di missione a Bambadinca, nella diocesi di Bafatà, e altrettanti nella parrocchia di Nossa Senhora de Fatima a Bissau. Il 1° ottobre 2017 p. John diventa parroco di Catió, nel sud del Paese. “In Guinea Bissau – spiega il sacerdote – i cattolici sono abituati ai missionari occidentali. All'inizio è stato difficile per loro accettare un prete venuto dall'Asia. Anche un sacerdote africano è qualcosa di strano: spesso, le famiglie cattoliche si oppongono al sacerdozio di un giovane perché nella loro concezione solo i bianchi possono essere preti”.
“A Catiò, dove il Pime è arrivato 40 anni fa, l'opera di evangelizzazione procede in modo lento. I cattolici sono minoranza, rappresentano circa il 15% della popolazione. I locali sono soprattutto animisti, ma anche i musulmani sono numerosi. I cristiani sono visti come un modello per la società. Il lavoro svolto dai missionari alimenta la fiducia che questi ripongono nella Chiesa”.
“Le conversioni sono tante, ma è compito di noi sacerdoti accompagnare le persone sul cammino della fede. Lo scorso anno, abbiamo battezzato 10 giovani. Diventare cattolici richiede un percorso di almeno sette anni. I catecumeni spesso devono confrontarsi con le pressioni familiari ed il peso delle tradizioni locali. Ci sono aspetti di questa cultura che spesso non riescono ad abbandonare. Da parte nostra, cerchiamo di valorizzare quanto di positivo si trova in queste usanze. Vi sono però cose che, in quanto cristiani, non possiamo accettare. Sono discorsi che affrontiamo con ogni catecumeno, perché il Vangelo entra in ogni cultura, la purifica e la esalta”. (PF).