Dai venti di guerra agli spiragli di pace. Per lo Yemen una tregua possibile
I colloqui in atto fra filogovernativi e Houthi rilanciano il ruolo della diplomazia di Onu e Oman. In atto uno scambio di prigionieri, che ha portato alla liberazione di 13 detenuti di guerra nelle mani di Riyadh. Entro fine mese potrebbe arrivare l’annuncio di un cessate il fuoco. Restano sul tavolo alcuni nodi irrisolti. A complicate il quadro la presenza di vari attori, fra cui al-Qaeda.
Milano (AsiaNews) - Spiragli di una pace, o quantomeno di una tregua possibile. Dallo Yemen, insanguinato per anni da una guerra tanto terribile quanto dimenticata dalla diplomazia internazionale e dalle cancellerie occidentali, giungono voci di un imminente cessate il fuoco. A darne notizia ieri è un funzionario del governo yemenita rilanciato dall’agenzia cinese Xinhua, a conclusione di un incontro avvenuto a Sana’a fra una delegazione mista di rappresentanti sauditi e dell’Oman con leader Houthi, il movimento ribelle sostenuto dall’Iran. Il tutto condito da uno scambio di prigionieri che certificherebbe, una volta di più, l’inversione di rotta dopo un lungo periodo di tensione e di stallo nelle trattative.
La recente ripresa delle relazioni fra Arabia Saudita e Iran, grazie alla mediazione di Pechino, sembra aver risvegliato la diplomazia regionale e potrebbe favorire la risoluzione di alcuni fronti caldi aperti da tempo in Medio oriente. Uno di questi è proprio quello yemenita, dove per anni agli sforzi delle Nazioni Unite si sono sommati i tentativi di mediazione di Mascate. L’incontro del 9 aprile è il primo ad aver riunito attorno a un tavolo nella capitale yemenita alti rappresentanti Houthi e sauditi, alla presenza di delegati dal sultanato. Mohammed bin Saeed Al-Jaber, ambasciatore saudita in Yemen, parla di incontro che mirava a rilanciare il cessate il fuoco, far rivivere i negoziati, favorire lo scambio di prigionieri ed esplorare le possibilità di dialogo fra le fazioni lotta per “raggiungere una soluzione politica sostenibile e completa”.
Scambio di prigionieri
A esprimere ottimismo è lo stesso governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale che, attraverso il ministro dell’Informazione Moammar al-Eryani, parla di “atmosfera più favorevole di quanto non si sia mai registrato prima, per riportare la pace” nel Paese. Raggiungere l’obiettivo, aggiunge, sarebbe “una vittoria per la legittimità costituzionale” e per la stessa “coalizione guidata dai sauditi”. Egli ha quindi sottolineato l’importanza fondamentale della ripresa dei rapporti fra Repubblica islamica e regno wahhabita che “ha reso favorevole l’atmosfera per il raggiungimento di una pace duratura”, tanto da voler estendere da sei mesi a un anno il cessate il fuoco. Secondo diverse fonti concordanti fra loro, la formalizzazione dell’accordo dovrebbe arrivare non più tardi della fine del mese di aprile.
Fra i primi segnali che confermano la serietà dei tentativi in atto vi è lo scambio di prigionieri, avvenuto nei giorni scorsi. Ad annunciarlo un portavoce dei miliziani, secondo cui il risultato è parte degli sforzi internazionali per raggiungere la pace. Abdul-Qader el-Murtaza, portavoce Houthi, ha parlato della liberazione di 13 detenuti di guerra da parte di Riyadh, a fronte del rilascio di un prigioniero saudita. Esso è parte di un accordo più ampio mediato dalle Nazioni Unite e dal Comitato internazionale della Croce Rossa il mese scorso in Svizzera, aggiunge l’alto ufficiale, che prevede il passaggio complessivo di 887 detenuti.
I ripetuti fallimenti del fronte diplomatico hanno contribuito ad alimentare il drammatico bilancio di un conflitto che, dal 2014, ha registrato circa 400mila vittime e provocato la “peggiore crisi umanitaria al mondo”, sulla quale il Covid-19 ha sortito effetti “devastanti”. Milioni di persone sono sull’orlo della fame e i bambini - 11mila morti nel conflitto - subiranno le conseguenze per decenni. Gli sfollati interni sono oltre tre milioni, la maggior parte vive in condizioni di miseria, fame ed è soggetta a epidemie, non ultima quella di colera. A livello militare, la guerra non ha comportato grandi modifiche sul terreno: gli Houthi (Ansar Allah) governano due terzi della popolazione e controllano un terzo del territorio. Il fronte più caldo è quello del governatorato di Marib, dove i ribelli filo-iraniani hanno lanciato una offensiva che si è però scontrata con la resistenza dei governativi. Per mantenere il potere i ribelli non esitano a usare un dominio autoritario, che non rispetta alcun diritto umano e reprime il dissenso mediante prigionia, esecuzioni - anche di minori, usati ancora oggi come bambini soldato come avviene pure sul fronte opposto - e processi sommari. Non è prevista libertà di espressione, i giornalisti sono arrestati e puniti, alle donne vengono limitati diritti e libertà, compreso l’obbligo del “guardiano” maschile che finisce per bloccare anche l’attività delle ong umanitarie.
Cauto ottimismo
Circa un anno fa erano emersi timidi tentativi di puntellare la tregua e alleviare le sofferenze di una popolazione allo stremo: difatti, l’inviato speciale delle Nazioni Unite Hans Grundberg - in carica dal settembre 2021 - era riuscito a strappare una tregua di due mesi alle parti, rinnovata per un periodo ulteriore e seguita dall’avvio di negoziati. A questo si era aggiunto, sul fronte governativo, il cambio al vertice con l’allontanamento del presidente Abdu Rabbu Mansur Hadi sostituito, dopo un dominio decennale, da un consiglio (Plc) di otto membri. Tuttavia, la tregua è spirata definitivamente il 2 ottobre e non è più stata rinnovata, mentre le parti hanno continuato a combattere scambiandosi accuse reciproche per il fallimento dei negoziati.
Interpellato dall’Ap lo stesso Grundberg ha plaudito agli sforzi diplomatici in atto, in particolare l’incontro avvenuto nel fine settimana fra Houthi e sauditi (e omaniti), che costituisce “il progresso più significativo” compiuto sinora “verso una pace duratura” dall’inizio della guerra. “Questo è un momento da cogliere - ha aggiunto l’alto funzionario Onu - e una reale opportunità per avviare un processo politico inclusivo sotto gli auspici delle Nazioni Unite, per porre fine in modo sostenibile al conflitto”. Ahmed Nagi, esperto di Yemen dell’International Crisis Group, ha confermato che il “riavvicinamento” fra Iran e Arabia Saudita “ha dato una spinta ai negoziati” fra Riyadh e Houthi e che “entrambe le parti” sono vicine all’annuncio di un “rinnovo” del cessate il fuoco. Tuttavia, prosegue l’esperto, restano ancora questioni irrisolte compresa la seconda parte dei negoziati in cui “ogni parte ha interpretazioni e aspettative diverse”. E, data la “complessità” della situazione, è “difficile” ipotizzare “a breve” dei “progressi” anche in questa direzione.
I termini di un possibile accordo fra le parti al momento non si conoscono e non sono stati resi pubblici, ma dovrebbero includere il pagamento dei salari dei dipendenti pubblici, la riapertura di porti e aeroporti, e obiettivi più ambiziosi come la ricostruzione del Paese. E ancora, l’uscita di forze straniere presenti sul terreno e una transizione politica verso una nuova forma dello Stato, tutti punti che hanno rappresentato - almeno in passato - un ostacolo insormontabile in una prospettiva di dialogo e di pace. Del resto il conflitto yemenita è complicato dalla presenza di più attori coinvolti, e persino una pace vera fra Houthi e governativi filo-sauditi potrebbe non bastare per far tacere le armi e garantire sollievo a una popolazione stremata. Altre fazioni come al-Qaeda, o i separatisi nel sud un tempo sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti, hanno ancora le loro battaglie da combattere e il dialogo aperto da Teheran e Riyadh potrebbe non bastare.
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