Da sant’Areta alle suore di Aden, un giubileo straordinario per i martiri d’Arabia
Si apre oggi l’anno giubilare nella Chiesa d'Arabia a 15 secoli (era il 15 ottobre 523) dal massacro del santo di Najran e dei suoi compagni. Mons. Berardi: scoprire il “ricco passato cristiano nella Penisola arabica”. Vicario del Sud: rende più importante la “testimonianza preziosissima” di sangue delle missionarie della Carità.
Milano (AsiaNews) - Quella dei cristiani in Medio oriente, dai primi secoli ai giorni nostri, è una storia di sangue e martirio, è una testimonianza di fedeltà al Vangelo fra guerre, persecuzioni e violenze confessionali, di cui spesso sono “vittime collaterali”: l’ultimo esempio è dei cristiani rifugiati nelle adiacenze della chiesa greco-ortodossa di san Porfirio a Gaza, uccisi da un razzo israeliano nel conflitto in atto con Hamas nella Striscia e che rischia di infiammare tutta la regione. Prima ancora vi è l’esempio dei cristiani iracheni, che hanno pagato con la vita come avvenuto in occasione della strage alla chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, il 31 ottobre del 2010, con un bilancio di 58 morti (fra i quali due sacerdoti) e oltre 70 feriti. Risale invece al primo millennio la vicenda di sant’Areta e compagni, conosciuti come i “martiri d’Arabia” di Najran, ricordati dai cattolici della Penisola arabica con un anno giubilare straordinario che inizia oggi e si concluderà il 23 ottobre 2024. Un tempo ideale per riscoprire il valore della loro presenza in una regione a larga maggioranza musulmana, in cui vi sono però tracce di comunità cristiane ben prima dell’ascesa dell’islam e di Maometto.
Sant’Areta e compagni: la fede, oltre la vita
Questo è il lascito dei “martiri d’Arabia” di Najran, che hanno sacrificato la loro vita per testimoniare il Vangelo guidati dal loro leader e capo carismatico, sant’Areta, per una vicenda quantomai attuale. Il 24 ottobre del 523 si è consumato uno degli eventi più cruenti dei primi secoli della storia della chiesa nella Penisola arabica, col martirio del santo e dei compagni che diventa oggi, a 1500 anni di distanza, occasione di festa per i cattolici d’Arabia. Una realtà estesa, in cui essi sono una minoranza composta perlopiù da migranti economici provenienti da altre nazioni dell’Asia, soprattutto le Filippine o dal subcontinente indiano: il vicariato settentrionale, che comprende i territori di Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita (dove però non è ammesso, almeno ufficialmente, altro culto all’infuori della religione musulmana) e il vicariato meridionale che abbraccia Emirati Arabi Uniti (Eau), Yemen e Oman.
Il 30 settembre 2011 l’allora vicario apostolico del Nord, mons. Camillo Ballin, ha indicato sant’Areta e i martiri di Najran ai cristiani del Golfo come esempi di vita e fedeltà. Il prelato ha poi tracciato un’analogia fra l’antica presenza del cristianesimo nella regione - ben prima dell’islam oggi maggioritario - e la moderna testimonianza delle comunità cristiane nel mondo arabo. In questo modo il vicario voleva porre l’accento sul loro apporto alla realizzazione degli ideali di pace e dialogo fra le diverse comunità. Al tempo stesso ha esortato i cristiani di oggi a esplorare in profondità la storia locale, le sue tradizioni e culture, per “amare meglio questa terra e rispettarla”.
Sant’Areta e compagni erano originari dell’antica città di Najran, nell’Arabia meridionale (attuale Arabia Saudita), martirizzati nell’anno 523 per la loro fede. Il loro capo, Areta, nasce ad Al-Harith bin Ka’b nel 427 e governa la città, all’epoca in prevalenza cristiana, fino al martirio avvenuto all’età di 95 anni quando l’area viene attaccata dal re himyarita Dhu Nuwas. Egli è un convertito al giudaismo e un vassallo ribelle del re d’Etiopia e riesce con l’inganno a superare le difese della città e penetrare al suo interno, massacrando quanti si rifiutavano di rinunciare alla fede cristiana e bruciando le chiese. Dopo aver conquistato Najran, Dhu Nuwas ordina che sacerdoti, diaconi, suore e laici siano gettati in una trincea che viene data alle fiamme, originando una pratica che in seguito diventa famosa nella tradizione araba come al-ukhdud. In seguito vengono massacrati uomini, donne e bambini, fra cui uno di soli cinque anni che si getta fra le fiamme per stare con la madre. Sant’Areta, insieme a un centinaio di seguaci, viene infine decapitato. I martiri sarebbero da 340 a più di 4mila, ma non vi sono certezze sui numeri.
Da Gaza ad Aden, i martiri di oggi
Per riscoprire la loro storia e il valore della presenza cristiana, il vicario dell’Arabia settentrionale mons. Aldo Berardi e il vicario dell’Arabia meridionale mons. Paolo Martinelli hanno chiesto a papa Francesco di indire un anno giubilare. Cuore delle celebrazioni per ottenere l’indulgenza plenaria la cattedrale di Nostra Signora d’Arabia in Bahrein e la cattedrale di san Giuseppe ad Abu Dhabi, negli Emirati. A novembre è previsto l’arrivo in Bahrein di una reliquia del santo, dono del patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli.
Approfondire la storia dei martiri d’Arabia in questo anno giubilare, sottolinea ad AsiaNews mons. Berardi, è occasione per “scoprire un ricco passato cristiano nella Penisola arabica” che è anche un modo per “vivere la fede” ed essere “martiri quotidiani”, dando un senso “alla nostra presenza”. “A loro guardano e si ispirano - prosegue il prelato - quale esempio di fedeltà e perseveranza, ma anche come risposta comunitaria di fronte a un pericolo”, a una minaccia esterna. “I martiri - ricorda - non vivevano in una realtà facile, come anche noi oggi, ma sono rimasti fermi nella loro fede, nella difesa della Croce” e sono di aiuto per “approfondire la nostra fede”. “Siamo noi - afferma mons. Berardi, sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità - i testimoni di Cristo in questa regione” e da qui “ci uniamo a tutti i cristiani in difficoltà nel mondo” a partire da Gaza, dai cristiani rimasti uccisi nelle bombe incrociate di Israele e Hamas, nuovi martiri dei tempi moderni. “La nostra preghiera e i nostri sacrifici - conclude il prelato - si uniscano per promuovere la pace” in una regione in cui, ancora oggi, essere testimoni di Cristo “significa vivere il Vangelo in modo coerente e profondo”, anche fino al sacrificio estremo di sé.
La storia del martirio di sant’Areta e compagni, aggiunge mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, trae origine da Najran, una località “oggi appartenente all’Arabia Saudita ma che, in origine, era parte dello Yemen. Questo è un motivo in più - prosegue - perché anche il Vicariato meridionale senta questo giubileo così significativo”, oltre al fotto che “la memoria della loro testimonianza è preziosa per noi tutti” cristiani d’Arabia. Il loro esempio, afferma il prelato, “ci richiama al fatto che il martirio, come testimonianza, è una dimensione quotidiana della vita cristiana” e rende ancora più importante la “testimonianza preziosissima delle missionarie della Carità di Madre Teresa”. Il riferimento è al martirio delle religiose di Aden, quattro suore uccise da un commando jihadista appartenente allo Stato islamico (SI, ex Isis) che il 4 marzo 2016 hanno assaltato il loro compound nella città del sud dello Yemen. Il loro sacrificio, come quello di sant’Areta e compagni, conclude il prelato, è “ricordato da tutto il vicariato come una enorme testimonianza di fede, di amore e carità, che ci rende pieni di gratitudine e responsabilità”.
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