Da Gerusalemme a Riyadh, la missione di Biden in un Medio oriente dimenticato
Il Consiglio mondiale delle Chiese si appella all’inquilino della Casa Bianca per dare risposte alle “crescenti minacce” che mettono a rischio la presenza dei cristiani. Gli incontri con Lapid, Abbas e i vertici sauditi. La telefonata di Abu Mazen al papa per rilanciare la questione palestinese. Sullo sfondo gli Accordi di Abramo e l’emergenza petrolifera che archivia le violazioni dei diritti umani.
Gerusalemme (AsiaNews) - Ascoltare e dare risposta “alle voci” delle Chiese di Terra Santa, che sono costrette a “fronteggiare crescenti minacce” che mettono a rischio persino “la sopravvivenza stessa” e il futuro nella regione. È quanto scrive in una nota il Consiglio mondiale delle Chiese (Cmc), alla viglia del viaggio diplomatico del presidente Usa Joe Biden in Medio oriente in programma dal 13 al 16 luglio. Si tratta della prima missione nell’area dal suo ingresso alla Casa Bianca a distanza di oltre un anno e mezzo, conferma ulteriore che le attenzioni di Washington sembrano oggi orientate verso altre aree del pianeta, dall’Asia-Pacifico al conflitto russo-ucraino.
Nella nota, firmata dal segretario generale rev. Ioan Sauca, il Cmc sottolinea che le Chiese sono “oggetto di continue violenze, discriminazioni”; a questo si aggiungono “gli insediamenti israeliani in continua espansione” e, di pari passo, il progressivo “sfollamento delle comunità palestinesi, compresi i cristiani”. Queste azioni, prosegue, “rappresentano una minaccia all’identità multi-religiosa e multi-culturale di Gerusalemme” e “minano qualsiasi prospettiva rimanente di una soluzione praticabile a due Stati, per garantire pace e giustizia per palestinesi e israeliani”. Infine, l’appello a Biden e a “tutte le persone di buona volontà” perché riconoscano Gerusalemme “come sacra per tutte e tre le religioni” e “città di due popoli”.
La missione diplomatica di Biden in Medio oriente inizia oggi con l’arrivo previsto nel pomeriggio in Israele, poi la tappa in Cisgiordania, a Ramallah, infine il trasferimento in Arabia Saudita dove parteciperà al summit dei Paesi del Golfo. Una quattro giorni fitta di temi e di impegni: in programma gli incontri con la leadership israeliana e il primo ministro Yair Lapid, chiamato a traghettare il Paese fino alle elezioni di novembre (le quinte in meno di quattro anni) che potrebbero segnare il ritorno al potere di Benjamin Netanyahu. A seguire il faccia a faccia con il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, poi l’attesa tappa nel regno wahhabita dove incontrerà re Salman e il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS), sul quale aleggia l’ombra dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi.
Durante la permanenza in Israele e Palestina, dove terrà banco con i vertici dello Stato ebraico la questione iraniana e la “minaccia” nucleare degli ayatollah, Biden visiterà fra gli altri l’Augusta Victoria Hospital, sul monte degli Ulivi, nel settore orientale di Gerusalemme. Si tratta di uno dei centri più prestigiosi di cura che fanno riferimento alla sanità palestinese, e che si avvale della presenza di medici e operatori sanitari israeliani. A Betlemme il vertice con Abu Mazen, durante il quale dovrebbero essere annunciati una serie di provvedimenti che Stati Uniti e Israele intendono compiere per rafforzare e legittimare l’Autorità palestinese.
Al riguardo va segnalata la telefonata fatta ieri dallo stesso Abbas a papa Francesco per discutere degli ultimi eventi che hanno caratterizzato l’area, a partire dall’uccisione della giornalista cristiana Shireen Abu Akleh e la questione irrisolta dell’occupazione israeliana. Durante il colloquio, avvenuto ieri, si è parlato anche delle tensioni che coinvolgono Gerusalemme, le minacce allo status quo alla Spianata delle moschee (monte del Tempio) e le restrizioni all’accesso ai luoghi santi cristiani e musulmani. In risposta, il pontefice ha ricordato l’importanza il valore della pace e del dialogo quali uniche vie per una convivenza comune nell’area.
Dopo aver visitato i Territori, l’inquilino della Casa Bianca volerà in Arabia Saudita per partecipare al summit dei leader del Golfo, allargato a Giordania, Egitto e Iraq. Da un punto di vista politico ed economico questa è la parte più importante del viaggio. Sul tavolo vi sono infatti gli sviluppi nelle relazioni fra Israele e Riyadh, che nel solco degli “Accordi di Abramo” potrebbe portare alla normalizzazione dei rapporti che tanto sta a cuore allo Stato ebraico. In cambio Riyadh potrebbe ottenere il via libera all’acquisto di armi pesanti (e offensive) statunitensi, dopo il blocco legato anche all’omicidio Khashoggi.
Da ultimo, ma non certo per importanza vi è il dossier sul petrolio, con le crescenti - ma finora vane - pressioni della Casa Bianca sui sauditi per un aumento della produzione di greggio e una maggiore immissione sui mercati, per garantire un abbassamento dei prezzi schizzati alle stelle in seguito alla guerra lanciata da Mosca contro Kiev.