Cristiani e indù promuovano la "cultura dell'inclusione" contro la "globalizzazione dell'indifferenza"
Città del Vaticano (AsiaNews) - La globalizzazione ha aperto nuove vie allo sviluppo del mondo, ma, al temo stesso, "ha contribuito alla frammentazione della società", al diffondersi di materialismo e consumismo, rendendo "gli individui ancor più egocentrici, assetati di potere e indifferenti nei confronti dei diritti, dei bisogni e delle sofferenze degli altri" e, in materia religiosa, alla crescita del relativismo e del sincretismo.
Di fronte alla crescente discriminazione, violenza ed esclusione, promuovere una "cultura dell'inclusione" è "una chiamata comune ed una responsabilità condivisa" che deve accomunare indù e cristiani alle altre religioni del mondo e alle persone di buona volontà. Si sviluppa intorno a questo invito il messaggio che il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha inviato agli indù in occasione della festa di Diwali, che quest'anno sarà celebrata il 23 ottobre. Simbolicamente fondata su un'antica mitologia, essa rappresenta la vittoria della verità sulla menzogna, della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, del bene sul male. La celebrazione vera e propria dura tre giorni segnando l'inizio di un nuovo anno, la riconciliazione familiare, specialmente tra fratelli e sorelle, e l'adorazione a Dio.
"Quest'anno - si legge nel messaggio a firma del presidente e del segretario del Pontificio consiglio, card. Jean-Louis Tauran, p. Miguel Ángel Ayuso Guixot - vorremmo riflettere con voi sul tema 'Insieme per promuovere la cultura dell'inclusione'. Di fronte alla crescente discriminazione, violenza ed esclusione in tutto il mondo, il 'far crescere la cultura dell'inclusione' si può, a ragione, considerare ovunque una delle aspirazioni più genuine della gente. E' vero che la globalizzazione ha aperto molte frontiere innovative ed ha offerto nuove opportunità di sviluppo, fra le quali, migliori servizi educativi e sanitari, accrescendo la consapevolezza del bisogno di democrazia e di giustizia sociale nel mondo, al punto che il nostro pianeta è veramente divenuto 'un villaggio globale', grazie anche ai moderni mezzi di comunicazione e di trasporto. Si deve anche dire, tuttavia, che la globalizzazione non ha raggiunto il suo scopo principale, che era quello di integrare le popolazioni locali nella comunità globale. Piuttosto, la globalizzazione ha inciso notevolmente su molti popoli facendogli perdere la propria identità socio-culturale, economica e politica".
"Gli effetti nocivi della globalizzazione si sono fatti sentire a livello mondiale anche sulle comunità religiose che sono intimamente legate alle culture circostanti. Infatti la globalizzazione ha contribuito alla frammentazione della società e a far crescere in materia religiosa il relativismo ed il sincretismo così come ha condotto all'individualismo religioso. Il fondamentalismo religioso, la violenza etnica, tribale e settaria in varie parti del mondo sono ampie manifestazioni del malcontento, dell'incertezza e dell'insicurezza, diffusi fra la gente, in particolare fra i poveri e gli emarginati esclusi dai benefici della globalizzazione".
"Le conseguenze negative della globalizzazione, come il diffondersi del materialismo e del consumismo, hanno quindi reso gli individui ancor più egocentrici, assetati di potere e indifferenti nei confronti dei diritti, dei bisogni e delle sofferenze degli altri. Ciò, come dice Papa Francesco, ha portato alla «'globalizzazione dell'indifferenza' che ci fa lentamente 'abituare' alla sofferenza dell'altro, chiudendoci in noi stessi» (Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 2014). Questa indifferenza genera la 'cultura dell'esclusione' (Cf. Discorso del Santo Padre Francesco agli aderenti al Movimento Apostolico Ciechi (MAC) e alla Piccola Missione per i Sordomuti, 29 marzo 2014), che nega i diritti dei poveri, degli emarginati e degli indifesi, così come le opportunità e le risorse che sono invece a disposizione di altri membri della società. Essi sono trattati come insignificanti, irrilevanti, sono considerati un peso, superflui, si possono usare e poi gettare via come oggetti. In diversi modi, lo sfruttamento dei bambini e delle donne, l'abbandono degli anziani, dei malati, dei diversamente abili, dei migranti e dei rifugiati, la persecuzione delle minoranze sono indicatori evidenti di questa cultura dell'esclusione. Far crescere una cultura dell'inclusione diviene perciò una chiamata comune ed una responsabilità condivisa, che ci si deve assumere con urgenza. E' un progetto che coinvolge tutti coloro che hanno a cuore la salute e la sopravvivenza della famiglia umana qui sulla terra e che si deve portare avanti in mezzo alle forze che perpetuano la cultura dell'esclusione e nonostante esse".