Cresce la violenza in Siria: per l’Onu i morti sono cinquemila
Lo denuncia un rapporti dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Preoccupazione per la scadenza dell’ultimatum a Homs. Nuovi scontri tra esercito e militari che aderiscono alle proteste. Elezioni municipali: per il governo la partecipazione è “affluenza di massa”, per l’opposizione “forse il 10 per cento”.
Beirut (AsiaNews) – Sale a cinquemila la stima dell’Onu delle vittime civili delle proteste in Siria, mentre si guarda con grande preoccupazione l’atteggiamento del governo verso la città di Homs, che ieri sera ha visto scadere l’ultimatum che minaccia attacchi militari se non hanno fine gli episodi di ribellione. Il tutto mentre sono in corso le elezioni municipali e lo “sciopero generale” proclamato dai gruppi di opposizione.
Il bilancio delle vittime delle violenze del governo è stato tracciato ieri da Navi Pillay, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, secondo la quale tra le persone uccise nei nove mesi della rivolta vanno considerati almeno 300 bambini. Nel rapporto fatto al Consiglio di sicurezza si aggiunge che sarebbero oltre 14mila le persone incarcerate e oltre 12mila quelle che hanno cercato rifugio nei Paesi confinanti. La Pillay ha sottolineato come nel suo precedente rapporto, ad agosto, erano duemila le vittime degli attacchi governativi. A queste vanno aggiunti il migliaio di uomini di esercito e forze di sicurezza la morte dei quali è dichiarata dalle fonti ufficiali.
Quest’ultimo dato conferma che è crescente il numero di militari che disertano l’esercito e si uniscono al Free Syrian Army (FSA), che si oppone con le armi alle forze governative, il che fa aumentare i timori che si avvi verso una vera guerra civile. Notizie di scontri giungono da Basrah al-Harir e Lujah, città a una quarantina di chilometri a nord del confine con la Giordania.
Proprio il riferimento a questi gruppi armati è stato usato oggi dal ministro degli esteri russo Sergei Lavrov per ritorcere contro i Paesi occidentali l’accusa di “immoralità”. Il termine era stato usato dall’ambasciatore francese all’Onu, Gerard Araud, contro la Russia, che da ottobre blocca ogni possibile azione del Consiglio di sicurezza contro Damasco. Secondo Lavrov, è il rifiuto dell’Occidente di fare pressione sui gruppi armati che operano in Siria ad essere “immorale”. Il nuovo scambio di accuse si aggiunge alle affermazioni fatte domenica dal Ministro degli esteri francese Alain Juppé, secondo il quale “ci sono forti ragioni per pensare” che c’è la Siria dietro l’attacco alle forze dell’Onu nel sud del Libano.
Contrastanti, infine, le notizie su elezioni e sciopero. L’agenzia ufficiale SANA parla di “partecipazione popolare di massa” al voto in una “atmosfera di democrazia”, gruppi come il Syrian Observatory for Human Rights di persone portate a forza ai seggi, di partecipazione al voto non superiore al 10 per cento e di falò di schede elettorali. Anche sullo sciopero generale le notizie vanno dal “tutto normale” riferito da fonti a Damasco alle violenze dell’esercito contro i negozi chiusi. (PD)
Il bilancio delle vittime delle violenze del governo è stato tracciato ieri da Navi Pillay, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, secondo la quale tra le persone uccise nei nove mesi della rivolta vanno considerati almeno 300 bambini. Nel rapporto fatto al Consiglio di sicurezza si aggiunge che sarebbero oltre 14mila le persone incarcerate e oltre 12mila quelle che hanno cercato rifugio nei Paesi confinanti. La Pillay ha sottolineato come nel suo precedente rapporto, ad agosto, erano duemila le vittime degli attacchi governativi. A queste vanno aggiunti il migliaio di uomini di esercito e forze di sicurezza la morte dei quali è dichiarata dalle fonti ufficiali.
Quest’ultimo dato conferma che è crescente il numero di militari che disertano l’esercito e si uniscono al Free Syrian Army (FSA), che si oppone con le armi alle forze governative, il che fa aumentare i timori che si avvi verso una vera guerra civile. Notizie di scontri giungono da Basrah al-Harir e Lujah, città a una quarantina di chilometri a nord del confine con la Giordania.
Proprio il riferimento a questi gruppi armati è stato usato oggi dal ministro degli esteri russo Sergei Lavrov per ritorcere contro i Paesi occidentali l’accusa di “immoralità”. Il termine era stato usato dall’ambasciatore francese all’Onu, Gerard Araud, contro la Russia, che da ottobre blocca ogni possibile azione del Consiglio di sicurezza contro Damasco. Secondo Lavrov, è il rifiuto dell’Occidente di fare pressione sui gruppi armati che operano in Siria ad essere “immorale”. Il nuovo scambio di accuse si aggiunge alle affermazioni fatte domenica dal Ministro degli esteri francese Alain Juppé, secondo il quale “ci sono forti ragioni per pensare” che c’è la Siria dietro l’attacco alle forze dell’Onu nel sud del Libano.
Contrastanti, infine, le notizie su elezioni e sciopero. L’agenzia ufficiale SANA parla di “partecipazione popolare di massa” al voto in una “atmosfera di democrazia”, gruppi come il Syrian Observatory for Human Rights di persone portate a forza ai seggi, di partecipazione al voto non superiore al 10 per cento e di falò di schede elettorali. Anche sullo sciopero generale le notizie vanno dal “tutto normale” riferito da fonti a Damasco alle violenze dell’esercito contro i negozi chiusi. (PD)
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