10/11/2010, 00.00
CINA
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Cresce a ottobre il surplus commerciale cinese verso l’estero

Le esportazioni arrivano a 135,9 miliardi di dollari, le importazioni a 108,8 miliardi e sono inferiori al previsto. Ora al G 20 si prevedono fortissime pressioni per il riapprezzamento dello yuan, già annunciate dagli Usa. Ma Pechino si opporrà, preoccupata per inflazione e disoccupazione.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – In aumento il surplus commerciale a favore della Cina, cresciuto di 27,1 miliardi di dollari a ottobre (19,7 miliardi di euro), rispetto ai 16,9 miliardi di settembre.

Le esportazioni sono aumentate a ottobre di circa il 22,9% e arrivano a 135,9 miliardi di dollari, compensate solo in parte dalla crescita delle importazioni del 25,3% per totali 108,8 miliardi.

Gao Shanwen, capo economista a Pechino di Essence Securities, ha osservato che il dato dimostra come la Cina abbia ormai ben superato gli effetti della crisi finanziaria globale e che il problema è che “le importazioni sono cresciute meno del previsto… la domanda interna nella seconda metà [dell’anno] è debole”. “Nei prossimi 2 mesi – prevede – aumenterà la crescita delle importazioni, mentre l’export crescerà con lentezza. Il disavanzo commerciale rimarrà alto, aumentando le pressioni per un apprezzamento dello yuan”.

Il dato giunge alla vigilia del summit G 20, che inizia domani a Seoul. Anche se la crescita cinese è un segnale positivo per l’economia mondiale, è facile prevedere che in Corea sarà forte la richiesta che Pechino rivaluti lo yuan, tenuto sottostimato (si parla del 40%) per favorire le esportazioni. Richiesta sempre rifiutata dalla Cina che risponde di dover prima contenere l’inflazione (stimata al 4% a ottobre, superiore al 3% che è l’obiettivo del governo) e diminuire la forte disoccupazione (si parla di decine di milioni di operai) conseguenza della recente crisi. Pechino parla di “inflazione importata” e accusa Washington di favorire un’eccessiva liquidità monetaria globale e un dollaro debole, portando i prezzi ad aumentare. Nei giorni scorsi Li Ruogu, presidente della Import-Export Bank of China, ha paventato che la crescita dello yuan farebbe aumentare la disoccupazione e i Paesi occidentali si troverebbero con milioni di migranti cinesi in cerca di lavoro all’estero.

Ma altri Paesi hanno problemi analoghi, a partire dagli Stati Uniti e da parecchi Paesi europei pure alla presa con una forte disoccupazione e intenzionati a rilanciare investimenti e produzione interna.

Tra i principali fautori del riallineamento dello yuan ci saranno gli Stati Uniti, specie se risulterà aumentato il suo deficit commerciale verso Pechino. Ieri il presidente Usa Barack Obama, in visita a Jakarta (Indonesia), ha detto che il G 20 discuterà “in modo esteso” il deficit commerciale e i vincoli valutari che rendono meno chiara la crescita globale. Da tempo parlamentari Usa chiedono di introdurre salati dazi per i prodotti cinesi, se lo yuan non sarà allineato ai valori effettivi.

Intanto Pechino ha ordinato ad alcuni istituti erogatori di prestiti, tra cui la Bank of Communications, di aumentare le riserve monetarie, per rastrellare liquidità e diminuire il flusso di finanziamenti e contenere l’inflazione. Ma il dato allarmante è la bassa crescita delle importazioni, che gli analisti prevedevano superiore al 28%, sintomo di una debole crescita del consumo interno. Per aumentare la crescita, la Cina vuole puntare sull’incremento del consumo interno, consapevole di doversi rendere meno dipendente dalle esportazioni, favorite dal basso costo del lavoro e della produzione e dal valore sottostimato dello yuan. Lo yuan nel 2010 è cresciuto di circa il 2,9%, nonostante l’economia cinese sia quella in più rapida crescita con valori superiori al 10%. Nello stesso periodo, il bath thailandese è salito di oltre il 12% e il ringgit malaysiano di più del 10%, nonostante le economia di tali Paesi siano cresciute molto meno della Cina.

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