Covid ed economia: decine di migliaia di israeliani in piazza contro il governo
Sfidando lockdown e restrizioni, i cittadini hanno promosso nuove proteste e invocato le dimissioni del primo ministro Netanyahu. A Tel Aviv tensioni e scontri con la polizia. Un risentimento accresciuto dal mancato rispetto delle norme da parte di personalità di primo piano, fra cui la moglie del premier. L’esercito apre al Rambam Hospital di Haifa un reparto per il coronavirus.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - Nel fine settimana decine di migliaia di israeliani sono scesi di nuovo in piazza in varie città del Paese, sfidando il lockdown imposto dal governo per contenere il coronavirus, chiedendo le dimissioni del primo ministro Benjamin Netanyahu. Da luglio ogni sabato è caratterizzato da manifestazioni, a dispetto della norma introdotta di recente che vieta alle persone di allontanarsi oltre un km dalla propria abitazione. Nell’ultima protesta i dimostranti, rispettando le norme sul distanziamento (tranne a Tel Aviv dove erano più evidenti gli assembramenti), hanno sventolato bandiere e mostrato cartelli con la scritta “Netanyahu vattene!”.
A fine settembre il Parlamento israeliano aveva approvato una legge che mira a soffocare l’ondata di proteste contro il governo e il premier Netanyahu. L’esecutivo è finito sul banco degli imputati per la gestione della pandemia di coronavirus - con un’impennata di nuovi casi nell’ultimo periodo che ha portato a un secondo lockdown totale - e la crisi economica. Il premier viene invece considerato inadeguato al ruolo per le accuse di frode e corruzione delle quali deve rispondere in tribunale.
A differenza delle altre città, a Tel Aviv si sono registrati scontri fra manifestanti e forze di sicurezza. Il portavoce della polizia Micky Rosenfeld riferisce che le dimostrazioni nella capitale commerciale del Paese non hanno rispettato le norme in vigore e i presenti “hanno lanciato oggetti verso gli agenti” che cercavano di distanziarli. I poliziotti “hanno risposto” con la forza a “incidenti e proteste illegali”.
Il risentimento della popolazione verso le chiusure è aumentato negli ultimi giorni, quando alcune personalità di primo piano del Paese avrebbero violato le disposizioni sulle restrizioni. Fra queste anche la moglie del primo ministro, che ha fatto entrare nella residenza ufficiale del marito un parrucchiere per sistemare l’acconciatura. Oggi solo i lavoratori di attività essenziali possono lasciare le loro case e, per tutto il periodo di festività, erano proibite feste e incontri, soprattutto fra gli ebrei ortodossi che tendono a rispettare meno il distanziamento.
Israele ha registrato sinora 280mila casi di coronavirus e 1.900 vittime, a fronte di una popolazione di nove milioni di persone. Al momento vanta il poco invidiabile primato del più alto tasso settimanale di infezioni pro-capite. Per questo ieri le autorità hanno aperto un nuovo centro per il trattamento della malattia gestito da medici e infermieri dell’esercito, una mossa senza precedenti nella storia della nazione, sopperendo così alla crisi del sistema sanitario.
L’unità militare è chiamata ad operare al Rambam Hospital ad Haifa, nel nord di Israele. L’unità prevede una stanza per il controllo da remoto dei pazienti e un padiglione per i malati dove, in precedenza, si trovava un parcheggio sotterraneo. Avi Weissman, vice-responsabile della struttura, sottolinea che l’intervento dell’esercito consentirà il ripristino di alcune attività - come le operazioni ordinarie e le visite ambulatoriali - finora sospese a causa del Covid-19.
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