23/09/2021, 12.11
ISRAELE
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Covid, il 25% delle famiglie israeliane a rischio insicurezza alimentare

Uno studio della organizzazione Leket mostra che due milioni di persone non raggiungono livelli “sufficienti” sul piano nutritivo. Pandemia e prezzi elevati fra i fattori determinanti. Attesi nuovi sostegni dal governo. Mons. Marcuzzo: fondamentale rispondere al problema occupazionale, turismo e pellegrinaggi ancora fermi. E la situazione in Palestina e Gaza è ancora peggiore. 

Gerusalemme (AsiaNews) - Il 25% circa delle famiglie israeliane con figli a carico sperimenta condizioni di insicurezza alimentare, per un totale di circa due milioni di persone che non raggiungono livelli ritenuti “sufficienti” sul piano nutritivo. È quanto emerge dal rapporto annuale elaborato dagli esperti di Leket, la più autorevole ong anti-povertà del Paese per servizi assistenziali in materia di cibo. Secondo l'organizzazione, 774mila bisognosi sono bambini, pari a un terzo dei minori in tutto Israele. Almeno 663mila famiglie non dispongono poi di risorse sufficienti per soddisfare le esigenze quotidiane in tema di dieta. 

“Un dato che stupisce” sottolinea ad AsiaNews l’ex vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, secondo cui “la situazione in Israele è comunque migliore rispetto alla Palestina o Gaza”, dove i tassi d'indigenza e povertà sono “drammatici”. Sul livello di benessere delle famiglie “ha influito l’emergenza sanitaria innescata dal coronavirus”, soprattutto a livello lavorativo per quanti operano “nel settore del turismo o dei pellegrinaggi in Terra Santa. In questo periodo critico, il governo è intervenuto per quanto possibile nel tentativo di rispondere ai bisogni”.

Secondo lo studio, il costo elevato della vita e la crisi economica, acuita dalla pandemia di Covid-19 con le restrizioni agli spostamenti e alle attività economiche, sono i fattori che hanno contribuito ad accrescere l’insicurezza alimentare. Il coronavirus avrebbe spinto 155mila individui in una condizione d'indigenza, quasi al limite di una soglia di povertà mai sperimentata prima. Eran Weintrob, amministratore delegato di Leket, spiega che i nuclei familiari più colpiti sono quelli “a basso reddito, già in sofferenza prima della pandemia”. 

“Sebbene il governo abbia stanziato 100 milioni di Nis (circa 26 milioni di euro), il denaro necessario per risolvere questa situazione critica - avverte - è di un miliardo”. Intanto il ministero israeliano del Welfare ha promesso di distribuire ulteriori fondi per venire incontro alle esigenze dei più bisognosi, ma sinora si parla solo di promesse sulla carta.

Un rapporto del Centro di ricerca e informazione della Knesset (il Parlamento israeliano) di agosto afferma che alla fine del 2020 solo 200mila famiglie soffrivano di carenza di cibo. Un dato che è, in realtà, tre volte inferiore alla cifra reale come controbatte un’inchiesta dettagliata pubblicata dal Times of Israel. “Vi sono 200 enti di beneficienza - prosegue Weintrob - che sostengono ogni giorno 80mila famiglie in condizioni di insicurezza alimentare. Queste associazioni sono in attesa dei finanziamenti governativi, per far fronte ai crescenti bisogni”.

All’insicurezza alimentare si lega infine il problema disoccupazione, che ha visto oltre un milione di persone escluse dal mercato del lavoro durante il periodo più buio della pandemia e, ancora oggi, a dispetto di una timida ripresa centinaia di migliaia di persone sono in cerca di lavoro. “Dal turismo religioso, alle guide, i trasporti, gli addetti ai luoghi santi - conferma mons. Marcuzzo - sono tantissime le famiglie che hanno sofferto in quest’ultimo periodo. Qualcosa è ripartito a livello di turismo, ma stiamo parlando di viaggi individuali o spostamenti interni mentre i pellegrinaggi restano ancora bloccati". La pandemia ha inferto un colpo durissimo, conclude il religioso, "e ora stiamo cercando per quanto possibile di ripartire”. 

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