Corte Suprema indiana libera i due compagni di carcere di p. Swamy
I giudici hanno dichiarato le prove presentate insufficienti a giustificare la detenzione per reati di terrorismo dei due attivisti per i diritti umani Vernon Gonsalves e Arun Ferreira. Un giudizio che di fatto conferma anche l'arbitrarietà dell'arresto del gesuita 84enne difensore dei tribali, morto nel 2021 per Covid dopo quasi 9 mesi di detenzione e diverse istanze di scarcerazione rigettate.
Delhi (AsiaNews) - La Corte Suprema dell’India ha concesso la libertà su cauzione a Vernon Gonsalves e Arun Ferreira, due attivisti per i diritti umani reclusi da cinque anni nel carcere di Taloja a Mumbai perché accusati ai sensi della legge antiterrorismo (UAPA) in relazione alle violenze di Bhima Koregaon, avvenute il 1 gennaio 2018 durante un raduno dei dalit (i cosiddetti fuori casta). I giudici hanno stabilito che il semplice possesso di letteratura in cui vengono popagandate azioni violente, non può essere considerato una prova di coinvolgimento in comportamenti terroristici e non può dunque giustificare la detenzione.
Vernon Gonsalves e Arun Ferreira facevano parte del gruppo di attivisti insieme a cui venne arrestato p. Stan Swamy, il gesuita 84enne del Jarkhand che si batteva per i diritti delle popolazioni tribali, morto due anni fa per Covid dopo essere stato lasciato in carcere per quasi nove mesi con le stesse accuse e diverse istanze di libertà su cauzione respinte. Proprio Vernon Gonsalves era stato uno dei suoi compagni di cella a Taloja: qualche settimana fa avevamo pubblicato su AsiaNews una sua testimonianza in cui raccontava come anche in carcere p. Stan si spendesse per sostenere gli altri detenuti, anche con il suo canto che varcava i confini della cella.
Stabilendo l’ingiustizia della negazione della libertà su cauzione a Vernon Gonsalves e Arun Ferreira - e definendola una grave violazione di un diritto umano fondamentale - la sentenza di oggi diventa una parola chiara della giustizia indiana anche sull’arresto arbitrario di p. Swamy. Tanto più che il gesuita negli interrogatori aveva sempre disconosciuto i documenti di propaganda della guerriglia maoista ritrovati sul suo computer. Una tesi, questa, poi confermata da un rapporto presentato dall’Arsenal Consulting, uno studio forense con sede a Boston specializzato nei crimini informatici e ingaggiato dalla difesa degli imputati nel caso del Bhima Koregaon. Dall’analisi del computer era emerso che 44 documenti tra cui le cosiddette lettere maoiste - su cui si fondavano le accuse della National Investigation Agency (NIA) contro p. Swamy - erano state inserite sul suo pc da un hacker ignoto che avrebbe avuto accesso al suo computer a partire dal 2014.
29/05/2021 11:48
22/05/2021 02:16
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