Coronavirus: Washington e Pechino rischiano un conflitto armato
Lo afferma un documento di intelligence cinese rivelato dalla Reuters. Per gli Usa, la Cina sta sfruttando la pandemia per fare progressi militari e strategici in Asia. Il confronto nel Mar Cinese meridionale e in quello orientale. Improbabile un’invasione di Taiwan in questo momento. Shen Dingli: la sfiducia reciproca non scomparirà a breve.
Roma (AsiaNews) – La battaglia di propaganda tra Cina e Stati Uniti sull’origine e la diffusione del coronavirus, con Washington che incolpa i cinesi per l’esplosione della pandemia, sta acquisendo sempre più una dimensione geopolitica.
Secondo un documento di intelligence cinese, rivelato dalla Reuters, la crisi pandemica ha guastato a tal punto le relazioni tra le due potenze, che Cina e Usa rischiano un conflitto armato. Per gli 007 di Pechino, il sentimento anti-cinese nel mondo – alimentato dagli statunitensi – è ai massimi livelli dal massacro di Tiananmen nel 1989, fatto che mette a rischio gli interessi strategici e commerciali del Paese.
Le autorità Usa non hanno confermato l’esistenza di questo rapporto riservato. L’amministrazione Trump continua a ripetere però che la Cina sta sfruttando la pandemia per fare progressi militari e strategici in Asia orientale e nel sud-est asiatico. Pechino rivendica gran parte del Mar Cinese meridionale, dove ha occupato isole e banchi coralliferi, costruendovi un gran numero di installazioni militari. Diverse nazioni sud-est asiatiche, sostenute da Washington, si oppongono alle azioni cinesi nell’area.
La Cina contesta anche le pretese del Giappone – alleato chiave degli Usa – sulle isole Senkaku nel Mar Cinese orientale, e non esclude di riprendersi con la forza Taiwan, che considera una provincia “ribelle”.
La Marina militare cinese, insieme alla Guardia costiera e alle milizie armate sui pescherecci, opera regolarmente nelle acque contestate, provocando la risposta delle forze navali di Vietnam, Indonesia, Malaysia e Filippine. Di recente, la portaerei cinese Liaoning, scortata da altre unità militari, ha navigato tra Giappone e Taiwan per spostarsi nel Mar Cinese meridionale.
Alcuni osservatori, dentro e fuori la Cina, sono convinti che gli Usa, i più colpiti dal coronavirus, non siano in grado di opporsi alle Forze armate cinesi in questi tre scacchieri. In particolare, circoli nazionalisti cinesi spingono per un’invasione di Taiwan. Lo scenario è improbabile al momento. Come evidenziato anche da esponenti militari in Cina, un attacco contro l’isola sarebbe molto costoso, sia in termini politici sia economici.
La Cina sta faticando a riprendersi dal “lockdown” e un’azione contro Taipei non farebbe altro che peggiorare la percezione anti-Pechino nel mondo. Oltre a provocare la probabile risposta armata degli Stati Uniti.
Nell’ultimo mese, gli aerei e le navi da guerra statunitensi hanno intensificato la loro presenza nella regione Asia-Pacifico, conducendo anche operazioni congiunte con australiani e giapponesi. “Se i nostri avversari pensano che questo è un momento di debolezza per noi, corrono il pericolo di sbagliarsi”. È quanto ha dichiarato il 9 aprile David L. Norquist, vice segretario Usa alla Difesa.
Il Pentagono ha chiesto 20 miliardi di dollari per accrescere il suo dispositivo militare nel Pacifico occidentale, e rispondere così al progressivo riarmo cinese. Da qui al 2026, Washington punta a rafforzare e a diversificare la capacità di fuoco delle proprie forze schierate nell’area, in modo da bloccare le attività navali e aeree cinesi all’interno della “first island chain”, la linea che idealmente congiunge il sud del Giappone con l’isola di Papua, e che ingloba anche Taiwan e le Filippine.
La pandemia ha inasprito le tensioni tra Cina e Usa, segnate già da due anni di guerra commerciale e tecnologica. E la situazione può solo peggiorare. Per Shen Dingli, docente di relazioni internazionali all’università Fudan di Shanghai, le possibilità di aprire spazi di cooperazione tra le due potenze sono minime, adesso come nel futuro. “La sfiducia reciproca non scomparirà a breve, data la rapida crescita di Pechino e la sua volontà di guadagnare una posizione internazionale consona alla sua forza”, spiega Shen ad AsiaNews. A suo dire, il quadro non cambierebbe molto con l’elezione negli Usa di un presidente democratico, dato che questi potrebbe incalzare il governo cinese anche sul tema dei diritti umani.
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