Corea, in crescita i figli di migranti abbandonati dai genitori e dal governo
Seoul (AsiaNews) - Tanhg Thi Ngoc Mai ha 23 anni e proviene dal Vietnam. È arrivata in Corea del Sud circa cinque anni fa, all'interno di un programma (illegale) che procura "mogli per corrispondenza" ai sudcoreani delle aree rurali. Di fatto è stata venduta come una schiava, un fenomeno denunciato anche da p. Maurizio Giorgianni ad AsiaNews. Fuggita dalle violenze e dalle angherie del marito, senza documenti, lo scorso anno ha conosciuto un connazionale con cui ha iniziato una relazione. L'uomo è stato deportato durante un raid della polizia, lasciando Mai incinta. Due giorni fa è nata la loro figlia, ma entrambe rischiano di essere cacciate dalla Corea: non hanno soldi, documenti o possibilità di guadagno. E secondo le leggi nazionali, non ci sono fondi o strutture pubbliche che possano prendersi cura di loro.
Il caso ha scosso l'opinione pubblica sudcoreana, che ora si interroga sul destino dei migranti che dal Sud-Est asiatico e dalla Cina cercano maggior fortuna in una delle "tigri" dello sviluppo economico del continente. Illegali o con permessi di soggiorno a tempo e legati all'impiego, gli immigrati nella penisola sono secondo alcune stime almeno due milioni; secondo fonti cattoliche di AsiaNews, il numero andrebbe "almeno raddoppiato". Sono arrivati qui come braccianti, operai del settore edile, badanti o "mogli conforto" per i contadini delle aree meno sviluppate del Paese, da cui le donne locali fuggono per dirigersi nelle città. Per Seoul, la loro esistenza non ha molto valore: fino a che riescono a badare a loro stessi e a non farsi trovare dalle autorità, possono rimanere. Se succede qualcosa, vengono rispediti in patria.
Il problema assume un contorno ancora più drammatico quando hanno un figlio. Soltanto nel 2014 e nella sola Seoul si sono registrati 90 casi di abbandono di neonati, figli di migranti che vengono lasciati su taxi, treni o davanti agli ospedali. Nessuno sa cosa fare di questi bambini: secondo la legge devono avere almeno un genitore coreano per ottenere aiuti pubblici, ma è impossibile stabilirlo in assenza di parenti. Nel caso di Mai, un aiuto è arrivato dall'organizzazione cristiana Global Sarang, che nella capitale ha aperto il Centro di sostegno per le donne migranti. Ma il presidente, Kim Hae-sung, non è ottimista: senza fondi non andranno molto lontano.
Lo stesso Kim spiega che non ci sono dati ufficiali sul fenomeno, ma che dalla sua esperienza questo è in crescita: "Ci chiamano singoli individui, madri disperate e persino giudici dei tribunali locali. Qualche tempo fa mi ha chiamato uno di loro, che sta giudicando una madre migrante, e mi ha chiesto di tenere il figlio fino a che il procedimento non sarà concluso. Io non dico mai di no, fino a che abbiamo spazio, ma i soldi sono davvero pochi".
Il governo non sembra disposto a cedere molte risorse. Anche se Seoul ha siglato la Convenzione Onu per i diritti dei minori - che impone agli Stati membri di garantire servizi medici e istruzione di base a ogni bambino sul proprio territorio - di fatto le strutture rifiutano i figli dei migranti e coloro che non hanno documenti. Un funzionario del governo dice al Korea Times: "Sappiamo che le politiche in vigore non aiutano chi ha bisogno. Per porre un freno all'immigrazione, l'esecutivo non vuole aiutare chi entra nel Paese in maniera illegale. Di fatto, i servizi pubblici sono e devono rimanere per i coreani".
03/05/2023 13:29