Cop21: l’accordo “storico” di Parigi sul clima ha qualche difetto
Parigi (AsiaNews) – L’accordo emerso a conclusione della Conferenza di Parigi sul clima (Cop21) è stato accolto con entusiasmo dall’assemblea, ma qua e là serpeggiano scontentezze per la lentezza con cui esso sarà attuato. I più felici sembrano essere le industrie – soprattutto quelle delle energie rinnovabili – che vedono aperto un campo e un mercato in decisa crescita.
Sotto i 2 gradi
L’accordo prevede l’impegno da parte della comunità internazionale a mantenere l’incremento della temperatura del pianeta “ben al di sotto dei 2 gradi”, e di attuare sforzi per limitare l’incremento a 1,5 gradi.
Su 195 Paesi, 186 hanno già annunciato misure per limitare o ridurre le emissioni di gas serra entro il 2025-2030. Il problema è che se anche tutte queste misure vengono messe in atto, secondo vari scienziati la temperatura crescerebbe di circa 3 gradi. E i Paesi insulari – minacciati dall’essere sommersi dall’innalzamento del mare - affermano che essi sono in pericolo di vita già con l’incremento di 1,5 gradi.
Un altro elemento controverso è la revisione degli impegni, che dovrebbe avvenire ogni cinque anni. Nel 2018 si dovrebbe produrre un rapporto speciale per studiare come giungere al risultato dell’1,5 gradi; i 195 Paesi saranno invitati a prendere le decisioni conseguenti. La prima revisione obbligatoria sarebbe però nel 2025: forse troppo tardi.
Gli aiuti finanziari
Già nel 2009 i Paesi ricchi avevano promesso di versare 100 miliardi di dollari all’anno – a partire dal 2020 – per aiutare i Paesi in via di sviluppo alla transizione verso energie pulite e per affrontare i danni causati dal riscaldamento globale, essendo essi le prime vittime dal punto di vista dell’inquinamento, della desertificazione, dell’agricoltura. Nell’accordo di Parigi si riafferma che i 100 miliardi sono solo una “base” da arricchire via via. I Paesi sviluppati avevano chiesto con insistenza di non essere i soli a contribuire e domandavano la partecipazione di Paesi come la Cina, la Corea del Sud, Singapore, i Paesi del petrolio.
La formula a cui si è giunti afferma l’impegno dei Paesi sviluppati e “incoraggia” altri Paesi a sostenere il fondo con donazioni volontarie.
I Paesi danneggiati
Un punto rimasto vago è l’aiuto da dare ai Paesi colpiti in modo irreversibile dai cambiamenti climatici. Il fatto che questo problema venga citato è una vittoria per i Paesi vulnerabili. Ma non si chiarisce il meccanismo con cui gli aiuti saranno distribuiti e chi dovrà sborsarli. Gli Stati Uniti, ritenuti fra i primi responsabili del riscaldamento, sono riusciti a inserire una frase per cui la questione degli aiuti non può servire da base per denunciare responsabilità o esigere ricompense.
Gli scienziati e le industrie
Nella comunità scientifica vi è discreta soddisfazione per l’accordo: tutti fanno notare che la direzione presa è quella giusta, ma occorre che tutti facciano la loro parte e si attui quanto deciso. Se ciò avviene, Secondo i climatologi, entro qualche decennio l’accordo potrà ridurre a zero l’utilizzo di energie fossili.
Massima soddisfazione invece per le industrie, che vedono un importante mercato nella transizione da energie che utilizzano carbone e petrolio a energie pulite (gas, eolico, solare, ecc..). Secondo studi dell’Onu, è necessaria una spesa di almeno 1000 miliardi di dollari all’anno per ridurre l’uso di carbone e frenare l’innalzamento delle temperature.
L’Agenzia internazionale dell’energia calcola che nei prossimi 10 anni, il campo delle rinnovabili assorbirà il 59% dei capitali nel settore energetico. Fra il 2026 e il 2040 raggiungerà il 75%.
25/09/2019 11:19