Con la copertura della guerra ai jihadisti, Ankara combatte il desiderio di autonomia dei curdi
Ankara (AsiaNews/Agenzie) – Impedire ai curdi di proclamare l’autonomia o addirittura uno Stato sulla parte del territorio siriano che controllano. Sembra questa la vera preoccupazione che ha spinto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a intervenire concretamente contro lo Stato islamico (SI) al quale, fino a poco fa, aveva di fatto consentito di ricevere uomini e rifornimenti attraverso un compiacente controllo dei propri confini.
A evidenziare tale fatto, anche l’attacco che Erdogan ha lanciato ieri contro l’HDP (People's Democratic Party), il partito curdo che alle elezioni di giugno gli ha fatto perdere la maggioranza assoluta in Parlamento, mentre si infittiscono le ipotesi che il presidente pensi a un possibile nuovo voto anticipato. Erdogan ha infatti denunciato l’esistenza di legami tra i terroristi curdi del PKK e alcuni deputati dell’HPD, chiedendo che a questi ultimi siano tolte le immunità parlamentari. Al tempo stesso ha decretato la sospensione de facto del processo di pace col PKK – iniziato nel 2012 – definendone “impossibile” la prosecuzione, visti gli attacchi che i curdi portano contro l’esercito. E aerei turchi hanno bombardato basi del PKK non solo nel Paese, ma anche in Iraq.
Di qui l’affermazione del presidente dell’HDP, Selahattin Demirtas, che le operazioni che la Turchia sta conducendo contro lo Stato islamico nascondono il vero obiettivo, cioè la guerra contro il desiderio di autonomia dei curdi.
Sia come sia, ieri la Turchia ha incassato la solidarietà della Nato. Al termine di una riunione di urgenza a Bruxelles, l’Alleanza ha infatti espresso “forte solidarietà e fermo sostegno” ad Ankara. Ma se tutti i 28 partecipanti hanno riconosciuto “il diritto di difendersi” della Turchia, si sono anche levate voci per chiedere “una risposta proporzionale” contro il PKK per salvare il processo di pace.
Al di là della riunione della Nato, Turchia e Stati Uniti hanno confermato l’intenzione di creare una “Isis free zone” lunga una novantina di chilometri all’interno della Siria e lungo il confine turco. Essa dovrebbe consentire il rientro di profughi siriani e impedire la creazione di quella regione curda così invisa a Erdogan. Per Washington, che da mesi cercava di ottenere l’impegno di Ankara contro lo Stato islamico, appare essere il prezzo da pagare anche per l’uso della base di Incirlik per i suoi aerei contro lo SI.