Colombo, vittime degli espropri lottano insieme per il diritto alla terra
Il governo espropria i terreni per costruire hotel destinati ai turisti. Alle comunità indigene è stato detto che devono stare lontane dalle foreste. I tamil coltivano piante da thè, ma dopo la guerra non hanno più una terra. Una campagna nazionale dal tema “La nostra terra è la nostra vita”.
Colombo (AsiaNews) – Riaffermare tutti uniti il diritto alla terra; rivendicare l’utilizzo delle risorse naturali; costruire legami di solidarietà tra i vari gruppi. Con questi obiettivi si è svolto a Colombo, capitale dello Sri Lanka, un incontro che ha riunito più di 150 rappresentanti delle comunità del Paese, vittime di espropri da parte del governo. Essi hanno lanciato un appello: “Terra, acqua, laguna, mare, foresta: tutto fa parte della nostra vita. Perciò chiediamo al governo di non rovinare le nostre vite distruggendo questi tesori. Non siamo contro lo sviluppo del nostro Paese, ma questo sviluppo non deve distruggere le nostre vite, i nostri mezzi di sostentamento e il futuro dei nostri figli”.
Il raduno si è svolto il 23 e 24 agosto all’istituto Hector Kobbekaduwa Agrarian Research and Training. Organizzatori dell’evento, rinominato “Convegno dei popoli”, sono state le associazioni Law & Society Trust (Lst) e People’s Alliance for Rights to Land (Parl). I partecipanti hanno condiviso le difficoltà patite da tutte le fasce sociali della popolazione, così come dai vari gruppi etnici e religiosi: singalesi, tamil, musulmani e indigeni (gli “adivasi”).
Sandun Thudugala, capo dei programmi della Lst, afferma ad AsiaNews che l’incontro è stato importante perché sono stati fissati tre obiettivi: “Rafforzare le attuali lotte per la terra attraverso un processo di costruzione della leadership a livello distrettuale e provinciale. Questo processo può portare ad una piattaforma per la mobilitazione delle persone. Infine, vogliamo lanciare una campagna nazionale dal tema ‘La nostra terra è la nostra vita’”.
Arumanayagam, membro della comunità adivasi, ha spiegato che “i nostri antenati per generazioni sono sopravvissuti utilizzando le risorse delle foreste, raccogliendo miele e cacciando animali. Ora invece rischiamo l’arresto se anche solo osiamo avvinarci alle foreste. Ci è stato detto che dobbiamo trovare altre forme di occupazione”. A tal proposito, è intervenuto P. Kahunathan, commissario della penisola settentrionale, che ha confermato “che è meglio che gli adivasi si cerchino altre forme di sostentamento”.
Vimalaraj, da Pasikuda, nel distretto di Trincomalee, ha detto che in passato “il 75% dei pescatori viveva grazie alle risorse ittiche, mentre ora siamo stati allontanati dalle spiagge che servono per costruire hotel destinati ai turisti”. Ganeshalingam, rappresentante dei tamil che lavoravano nelle piantagioni, gli fa eco: “Per 150 anni le aziende del thè dei tamil hanno contribuito a rendere florida l’economia del Paese, mentre ora non abbiamo più una terra da coltivare”.
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