Colombo, riformare il settore agricolo ‘per salvare terre e contadini’
Chinthaka Rajapakse è moderatore del Movimento per la riforma del territorio e dell’agricoltura. Un bilancio delle politiche agricole degli ultimi tre anni. Tra i progressi, il bando degli erbicidi. Tra gli aspetti critici, la requisizione dei terreni e l’approvazione di leggi che avvantaggiano la grande finanza internazionale.
Colombo (AsiaNews) – Riformare il settore agricolo per salvare i terreni e i contadini dello Sri Lanka. È quanto chiede Chinthaka Rajapakse, moderatore del Monlar (Movimento per la riforma del territorio e dell’agricoltura). Nel Paese, afferma, “il settore agricolo e delle piantagioni è in crisi profonda. Il governo deve pensare in modo serio e agire davvero per cambiare le politiche economiche e agricole, che non possono essere [affrontate] in maniera disgiunta”.
Il Monlar rappresenta anche 2mila famiglie di tamil indiani che lavorano nelle piantagioni. È associato con il People Planning Forum (Ppf), organizzazione che raduna altre 6mila famiglie di piccoli agricoltori, di cui 4500 di etnia singalese e 1500 tamil. L’ambientalista fa un bilancio dei tre anni di governo del presidente Maithripala Sirisena e lo ringrazia “per i positivi cambiamenti intrapresi per migliorare [la situazione] dei contadini dello Sri Lanka. Allo stesso tempo però, davvero poco è stato fatto per l’agricoltura”.
Nel Paese, spiega, “l’80% della popolazione rurale è composto da piccoli contadini, la cui vita dipende dai propri terreni. Nel 2015 avevamo chiesto al presidente di migliorare le condizioni di queste persone. La loro sopravvivenza si basa sulla capacità rigenerativa della natura e sull’accesso alle risorse naturali”.
Sui progressi fatti negli ultimi tre anni, continua, “ce ne sono tre da segnalare. Il primo di sicuro è la decisione di Sirisena di abolire le sostanze agrochimiche dannose come il glifosato, un tipo di erbicida che sarebbe il principale responsabile dei casi di tumore al rene nelle aree coltivate. Apprezziamo davvero la sua scelta, che non deve essere stata facile date le pressioni delle agro-mafie. Il secondo è la decisione di spostare i sussidi dai fertilizzanti all’agricoltura biologica: questo ha motivato i contadini ad optare per pratiche agricole tradizionali. Anche se i sussidi sono stati gestiti male, è comunque positiva la spinta verso un’agricoltura sostenibile”. Il terzo, aggiunge, “è l’avvio di un programma alimentare nazionale dal nome ‘Toxic Free Nation, Wholesome Agriculture’ [‘Nazione libera dalle tossine, agricoltura sana’ – ndr], per promuovere le coltivazioni libere da sostanze chimiche”.
Nonostante i progressi, rimangono diversi punti critici: “Il modello economico neo-liberista scelto dal governo, che con l’approccio di libero mercato sta rovinando tutte le buone politiche. Oppure l’agricoltura intensiva su vasta scala così come proposta dalla World Bank che sostiene che l’agricoltura su piccoli lotti non è più profittevole. Questo è solo un mito creato dai giganti dell’industria globale, che hanno bisogno di commerciare i loro prodotti come i fertilizzanti”. Poi il governo “sta requisendo le terre in tutto il Paese per darle a investitori internazionali. Le autorità hanno creato una Land Bank che consente vita facile agli investitori. Essa è sostenuta dalla Banca mondiale che vuole liberalizzare il territorio. Gli agricoltori non hanno altra alternativa se non vendere i loro terreni a causa del declino delle produttività dovuta a pratiche agricole dissanguanti”.
Tutte queste politiche, che trovano il sostegno di organismi finanziari internazionali come “la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione mondiale del commercio, porteranno alla distruzione completa del settore agricolo e dei suoi addetti”. L’unico modo per scampare alla rovina, “è sostenere la natura e i contadini, applicare i trattati internazionali sul rispetto e la salvaguardia dell’ambiente e consentire agli agricoltori di beneficiare delle proprie terre”.
"Lottiamo da molti anni - conclude - per il diritto alla terra delle comunità di agricoltori. I tamil di origine indiana che vivono in Sri Lanka come lavoratori nelle piantagioni hanno contribuito molto allo sviluppo delle esportazioni srilankesi. Ma ad oggi essi sono trattati come schiavi senza diritti, compreso quello alla terra. Perciò chiediamo al governo di fornire loro 20 pertiche di appezzamenti di terreno per le abitazioni permanenti e due acri per le coltivazioni e di trasformare le proprietà delle piantagioni in villaggi con una gestione sostenibile del territorio. Allo stesso tempo, i terreni collinari, che sono il cuore delle risorse idriche del Paese, dovrebbero abbondare per rigenerare il manto forestale”.
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