Cina: i suoi 5 anni nell’Organizzazione mondiale del commercio
Pechino (AsiaNews) – Ricorre oggi il 5° anniversario dell’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Gli esperti celebrano lo sviluppo economico record e l’integrazione del Paese nel commercio mondiale, ma non nascondono il gravissimo prezzo sociale, strutturale e ambientale pagato e la necessità di riconsiderare le modalità di sviluppo. In questi 5 anni, la Cina nel 2005 è diventata la quarta maggior economia mondiale; nel 2006 il 3° maggior esportatore (dopo Stati Uniti e Germania) e si prevede sarà il 1° per il 2010. Il Prodotto interno lordo è passato da 1,3 trilioni di dollari Usa nel 2001 a 2,2 trilioni nel 2005. Il commercio con l’estero è passato da 474,3 miliardi di dollari nel 2001 a 1.422 miliardi nel 2005 e le esportazioni sono cresciute da 249,2 a 762 miliardi nello stesso periodo. Pechino ha superato Tokyo come Nazione con maggiori riserve di valute estere, con 1 trilione di dollari a fine ottobre. Secondo la Banca mondiale, in questi 5 anni la Cina ha contribuito per il 13% alla crescita economica mondiale. I suoi prodotti hanno invaso i mercati mondiali e sono distribuiti anzitutto dalle grandi catene occidentali come Wal-Mart, Carrefour e Tesco e contribuiscono a frenare l’inflazione.
La Cina è soddisfatta di questi progressi e Deng Hongbo, direttore del Centro affari dell’Omc per la Cina, commenta che “nessun Paese ha beneficiato più della Cina per l’ingresso nell’Omc”.
Peraltro con lo spirare dei 5 anni ha fine il “termine di grazia” concesso a Pechino per adeguare la normativa e aprire in modo completo il suo mercato. La Cina non ha ancora risolto problemi come la tutela della proprietà intellettuale e i mercati occidentali sono invasi dai prodotti contraffatti cinesi. Nel settore bancario e dei servizi finanziari il Paese è ancora restio ad aprirsi alla piena concorrenza delle banche estere, reputate più competitive di quelle nazionali. Unione europea e Stati Uniti insistono per una rivalutazione dello yuan e per la completa apertura del mercato interno alla merci estere, così da poter ripianare lo sbilancio commerciale favorevole a Pechino.
Il Paese sta però pagando un prezzo elevato e insostenibile in termini di ambiente, ordine sociale, istituzioni. I 25 anni di crescita economica sono avvenuti senza nessun rispetto per l’ambiente e la Cina è il 2° maggior consumatore mondiale di energia e il 2° produttore di gas serra. Esperti osservano che nella Nazione non ci sono fiumi non inquinati e non cadono piogge che non siano acide. Solo di recente si parla di sviluppo non inquinante, ma le previsioni più ottimistiche parlano solo di “ridurre” l’inquinamento di qualche punto percentuale nel corso di parecchi anni e confliggono con l’esigenza di proseguire lo sviluppo economico.
La corruzione è diffusa tra funzionari pubblici e imprenditori a ogni livello e in ogni settore. Soprattutto, la mancanza di una vera riforma fondiaria ha esasperato i contrasti tra città e campagna, con gli abitanti urbani che beneficiano dei vantaggi per la crescita economica e i contadini, privi d assistenza sanitaria e sociale, che diventano sempre più poveri. Non è stato risolto il problema della proprietà della terra e spesso i contadini sono espropriati e mal pagati per favorire industrie e imprese locali, ma ci sono sempre maggiori ostacoli per l’agricoltore che vuole andare a lavorare in città. Per queste disuguaglianze sono esplose molte delle oltre 87mila proteste sociali del 2005, che ormai sono tanto diffuse da porre in pericolo la stessa stabilità sociale. Il governo, per contenere le proteste, ha tenuto bassi i prezzi di elettricità, gas naturale, carbone, acqua e petrolio. Ma analisti osservano che ciò ha aiutato soprattutto imprenditori e classi abbienti, lasciando inalterate immense differenze sociali e, anzi, ha contribuito a rendere inefficaci i tentativi di tutela dell’ambiente. (PB)