Cina, raffica di condanne a morte e prigionia per "separatismo" in Xinjiang
Urumqi (AsiaNews/Agenzie) - La giustizia cinese ha condannato a morte otto persone per il coinvolgimento in due attacchi - con coltelli ed esplosivi - avvenuti all'inizio del 2014 nella regione occidentale dello Xinjiang. Lo confermano i media di Stato. Allo stesso tempo, sette studenti del famoso docente uighuro Ilham Tohti - condannato all'ergastolo per separatismo - sono stati condannati a pene che vanno dai tre agli otto anni sempre per la stessa accusa.
Negli ultimi due anni sono morte centinaia di persone nello Xinjiang, per lo più a causa degli scontri fra la minoranza uigura e la maggioranza di etnia han. Lo scorso aprile 2014, un attacco alla stazione ferroviaria della capitale Urumqi ha provocato tre morti e 79 feriti. In maggio un altro attentato, compiuto lanciando esplosivi dai finestrini di due fuoristrada, ha ucciso 39 persone in un mercato sempre di Urumqi. Secondo la Xinhua, il tribunale ha condannato a morte altre cinque persone ma ha "sospeso la pena" (termine che di fatto indica l'ergastolo). Altre quattro hanno ricevuto pene minori.
Il governo centrale ha accusato i militanti dello Xinjiang di numerosi altri attentati, persino nella città di Pechino. Secondo attivisti per i diritti umani ed esperti, la minoranza uighura è schiacciata dal dominio repressivo dell'esecutivo dominato dagli han. Dilxat Raxit, portavoce del Congresso mondiale degli uighuri (con base in Germania) sostiene che queste dure sentenze siano motivate dalla politica, e che gli avvocati difensori non hanno potuto operare nel contesto di un giusto processo.
La provincia è una delle più turbolente di tutta la Cina: qui vive l'etnia uighura, circa 9 milioni di persone turcofone e di religione islamica, che ha sempre cercato di ottenere l'indipendenza da Pechino. Il governo centrale, da parte sua, ha inviato nella zona milioni di cinesi di etnia han per cercare di renderli l'etnia dominante. Inoltre impone serie restrizioni alla libertà religiosa, alla pratica musulmana, all'insegnamento della lingua e della cultura locale.
Dal 2009 è in atto un regime speciale di controllo da parte della polizia e dell'esercito cinese, imposto da Pechino dopo gli scontri nei quali quasi 200 persone persero la vita. In seguito a quelle violenze sono state inflitte centinaia di condanne a pene detentive e decine di condanne a morte. Le autorità cinesi ritengono che i responsabili delle violenze siano estremisti musulmani, ma gli esuli sostengono che Pechino "esagera" la minaccia del terrorismo islamico per giustificare la repressione contro la popolazione uighura.