Cina, neonati venduti su WeChat per 9.200 dollari. Sgominata una banda in ospedale
Il traffico avveniva in un centro sanitario dell’Hunan. I criminali convincevano le donne a cedere il proprio figlio a ignoti compratori. Poi facevano firmare alle madri biologiche una dichiarazione in cui la cessione compariva come “volontaria e gratuita”.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Vendevano neonati su WeChat al prezzo concorrenziale di 9.200 dollari (60mila yuan). È il traffico illegale di esseri umani scoperto dalla polizia di Yiyang, nella provincia cinese dell’Hunan, che ha arrestato una banda di sei persone. I trafficanti avevano costituito una vera e propria rete di vendita online attraverso la famosa piattaforma di messaggistica digitale. Con un semplice messaggio inviato sul cellulare della coppia adottiva, i criminali comunicavano che il bambino era in buone condizioni di salute e invitavano i potenziali acquirenti a recarsi “in fretta” nella città per recuperare il nascituro.
La truffa è stata svelata da un’inchiesta del giornale Xiaoxiang Morning Post. Nell’articolo compare un’immagine di una conversazione su WeChat risalente alla metà di giugno. Nei messaggi si legge che “è in vendita un neonato, un bambino sano”. Il testo poi continuava invitando chiunque fosse interessato alla “merce” a “venire in fretta nell’Hunan, a Yiyang”. Al messaggio faceva seguito un video del piccolo e alcune informazioni sui genitori biologici, nelle quali si specificava che la famiglia di origine del bambino “si sentiva incapace di crescere un secondo figlio”.
In realtà le indagini hanno accertato l’esistenza di un traffico illegale all’insaputa delle mamme donatrici. La banda selezionava donne incinte, alle quali prometteva di trovare presto un compratore per il proprio nascituro. In seguito le madri firmavano una dichiarazione in cui affermavano: “Abbandono mio figlio in maniera volontaria e gratuita. Spero che voi genitori adottivi possiate trattarlo con gentilezza”.
Il racket dei bambini venduti non è una novità in Cina. Di recente è stata scoperta l’esistenza di una rete di madri surrogate cambogiane che portavano in grembo figli per conto di clienti cinesi. Paesi come Thailandia ed India impediscono agli stranieri di accedere ai servizi di maternità surrogata commerciale. Per questo le agenzie di “uteri in affitto” si sono spostate con rapidità nella vicina Cambogia, che nel 2016 ha vietato "l’industria".
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