Cina, intellettuali al governo: “Basta censura, torniamo allo stato di diritto”
Pechino (AsiaNews) - Un gruppo di intellettuali cinesi ha scritto una lettera aperta al Partito comunista per chiedere la fine della censura su internet e una politica meno repressiva all'interno dei tribunali nazionali, "pieni" di ingerenze da parte del governo. Il testo è stato firmato da 71 persone, docenti o analisti di livello nazionale, ed è stato pubblicato sul blog del professor Zhang Qianfang, docente di Diritto all'università di Pechino. Nelle stesse ore, tuttavia, arrivano nuove notizie di repressione in tutto il Paese.
Il documento chiede al governo di sfruttare il cambio di leadership per affrontare una serie di riforme sociali "urgenti". Il Partito "deve interrompere la propria supervisione nel campo delle decisioni legali, lasciare liberi giudici e avvocati e permettere alle persone di parlare e di riunirsi in maniera libera". Proprio la fine dell'ingerenza politica nei tribunali è una delle quattro riforme auspicate dal grande dissidente Bao Tong.
Zhang spiega: "Non credo che la società dovrebbe aspettare in maniera passiva. Dovremmo invece esprimere le nostre idee e costruire consenso. Il momento è quello giusto, e se lo perdiamo la situazione diventerà sempre più seria: rischiamo il caos e il crollo".
Il riferimento è alla presa di potere da parte della "Quinta generazione" di leader comunisti. Il 18esimo Congresso generale del Partito ha infatti incoronato lo scorso novembre Xi Jinping come nuovo Segretario e presidente nazionale: insieme a lui entreranno in vigore, il prossimo marzo, gli altri 6 membri della Commissione centrale del Politburo. Sin dal suo primo discorso come leader eletto, Xi ha dichiarato di voler combattere la corruzione e costruire una società più giusta.
La lettera ricorda nei toni e nei contenuti la celebre "Carta '08", il documento pubblicato sempre su internet dal dissidente Liu Xiaobo. Per il suo impegno democratico, Liu ha vinto il Premio Nobel per la pace 2010 ma è stato anche condannato da Pechino a 11 anni di carcere: al momento si trova in una galera nel nord del Paese, mentre sua moglie e sua figlia vivono agli arresti domiciliari nella capitale. Sempre secondo Zhang "nella lettera non c'è nulla di nuovo e nulla di realmente contrario ai desideri del Partito. Loro per primi dicono di voler sostenere la nostra Costituzione".
Tuttavia, dal punto di vista pratico le cose sembrano molto lontane dal cambiare. Una nuova proposta di legge impone agli utenti di registrare i propri blog usando il nome e il recapito reale, mentre i provider sono tenuti a collaborare "in ogni modo" con la giustizia cinese. La bozza mira a "rafforzare la protezione dei contenuti", ma secondo gli internauti è soltanto un modo ulteriore per limitare la libertà di espressione.
Non va meglio nel campo dei diritti civili. Le autorità dell'Hunan hanno infatti annunciato di aver messo sotto accusa Zhu Chengzhi, uno dei migliori amici del defunto sindacalista Li Wangyang. La sospetta morte di Li, avvenuta lo scorso 6 giugno in ospedale, è stata presentata come un suicidio ma le proteste dei suoi familiari e amici - fra cui in prima fila lo stesso Zhu - hanno costretto le autorità a fare marcia indietro e parlare di omicidio. Ora però Zhu è sotto accusa per "aver incitato alla sovversione del potere statale".
È andata peggio a Wang Zaili, disabile, che cercava a inizio dicembre un lavoro nella città di Changde. L'uomo, un contadino con problemi mentali, è stato fermato insieme a un altro uomo dagli agenti di sicurezza cittadini: arrestato e ammanettato, è stato picchiato per una notte intera. Il giorno dopo le autorità ne hanno ordinato il rilascio, ma Wang era morto. Un centinaio di persone si è recato davanti agli uffici del governo locale per protestare: in risposta, le autorità hanno offerto 51mila yuan (circa 7.800 euro) per metterle a tacere.
02/01/2020 10:16