Cina, il Partito pronto ad abolire la legge sul figlio unico
Pechino (AsiaNews) – Dopo 36 anni di violenze, costate circa 400 milioni di aborti, il Partito comunista cinese avrebbe deciso di abolire la legge sul figlio unico. Lo annuncia una nota del Plenum, riunito in questi giorni a Pechino. Le autorità avevano già rilassato il testo nel 2013, ma ora aprono alla possibilità di avere due figli per tutte le coppie del Paese.
Dal 1979 in poi la Cina ha attuato – spesso con violenza – la politica di un solo figlio per famiglia, per concentrare la nazione sullo sviluppo economico. In seguito si è permesso a gruppi etnici di avere due figli e ai contadini di averne due se il primo figlio era una bambina. L'attuazione della legge è stata spesso violenta, con multe esose contro i violatori e perfino sterilizzazione forzati e aborto fino a nove mesi di gravidanza.
Fra il 2013 e il 2014 il governo ha “alleggerito” la legge e ha consentito ad alcune coppie (quelle in cui almeno uno dei coniugi è “figlio unico per legge”) di avere un secondo bambino. Tuttavia su 11 milioni di coppie che rientrano in questa casistica soltanto 1,45 milioni hanno chiesto di poter accedere al privilegio concesso. E dei 20 milioni di neonati attesi da Pechino per il 2014 ne sono nati soltanto 16,9 milioni.
Questo squilibrio, spiegano gli esperti, nasce da decenni di influenza politica contraria alla natalità, dall’aumento del costo della vita e dalla difficoltà di trovare lavori dignitosi con stipendi in grado di sostenere una famiglia numerosa. Al punto che il tasso di natalità della Cina è oramai fermo a 1,18 figli per coppia contro la media mondiale di 2,5.
Il calo demografico non incide soltanto sulla società, già in sofferenza per la difficoltà di formare giovani coppie data la predilezione dei genitori per i figli maschi e quindi l’enorme numero di aborti contro le bambine. Il picco peggiore è quello che incide sull’economia nazionale: il calo della forza-lavoro e il collasso del sistema pensionistico, sostiene un analista anonimo, “sono ormai realtà con cui il governo deve fare i conti”.