Cina, con le nuove leggi sulla libertà religiosa "non è cambiato nulla"
Human Rights Watch, gruppo internazionale che opera nel campo dei diritti umani, commenta il primo anno di vita delle leggi sulla libertà religiosa. "La repressione è ancora diffusa e la libertà di culto soggetta a restrizioni arbitrarie".
Pechino (AsiaNews/Agenzie) Ad un anno dalla loro entrata in vigore "i nuovi regolamenti cinesi per la protezione della libertà religiosa non sono serviti a nulla. Rimane diffusa la repressione religiosa operata dal governo".
Lo denuncia oggi Human Rights Watch (Hrw), organizzazione internazionale che monitorizza la tutela dei diritti umani, in un documento che analizza e commenta il primo anno delle nuove leggi, definite dal governo all'epoca della loro introduzione "un significativo passo in avanti per proteggere la libertà religiosa nel Paese".
"Un anno dopo l'entrata in vigore dei 'Regolamenti sugli Affari religiosi' si legge nel documento l'effettiva libertà religiosa dei cittadini cinesi rimane, come sempre, soggetta a restrizioni arbitrarie". Secondo Hrw, i fedeli cristiani, musulmani e buddisti "continuano a subire severe restrizioni sulle modalità di pratica della loro fede".
"I Regolamenti dice Brad Adams, direttore della sezione Asia di Hrw non hanno creato lo spazio necessario alla libera pratica religiosa che promettevano. Al contrario, quei cittadini che vengono scoperti mentre mettono in pratica le attività religiose di base possono essere minacciati, puniti o arrestati". Hrw denuncia la repressione "diffusa" contro le Chiese non ufficiali cattoliche o protestanti e la violenza che il governo opera contro i seguaci di gruppi "quasi religiosi" come il Falun Gong, che "vengono liberamente arrestati e imprigionati".
Il gruppo critica "in maniera speciale" il controllo della questione religiosa nelle province del Xinjiang e del Tibet, dove nell'ultimo anno la repressione "sembra essersi intensificata". Nel Xinjiang, popolato per la maggior parte da uighuri [etnia della Cina settentrionale ndr] musulmani, il controllo riguarda i testi islamici e l'educazione religiosa, fortemente ridotta.
In Tibet il governo ha lanciato una "campagna educativa" con cui cerca di convincere i religiosi buddisti a riconoscere al posto del Dalai Lama in esilio - il 15enne Panchen Lama scelto dal regime comunista come massima autorità religiosa. La "campagna" comprende anche lezioni di storia basate su testi governativi, in cui il Tibet "è sempre stato parte della Cina". "Chi rifiuta di accettare questa versione scrive ancora Hrw o rifiuta il Panchen Lama viene espulso dal monastero".