Cina, calano ancora import ed export
Il surplus commerciale aumenta, ma le importazioni segnano un vero crollo. A cedere è la domanda interna, obiettivo dichiarato del governo centrale, che tuttavia non garantisce salari e diritti dei lavoratori inficiando la capacità di spesa. Pesa anche la Brexit, che fa calare le prospettive di esportazioni verso l’Unione Europea.
Pechino (AsiaNews) – I dati rilasciato oggi dall’Amministrazione doganale centrale della Cina mostrano che nel luglio 2016 sono calate ancora sia importazioni che esportazioni. Nonostante che nello stesso periodo il surplus della bilancia commerciale sia aumentato, gli esperti temono le ricadute estive sui due fattori economici chiave per la stabilità interna. Pesano la Brexit, l’incertezza finanziaria generale e il mancato rilancio della domanda interna.
Secondo i dati ufficiali – sempre guardati con qualche sospetto dalle Agenzie internazionali – il surplus della bilancia commerciale cinese è aumentato a luglio 2016 fino a toccare i 52,3 miliardi di dollari, il miglior risultato da gennaio (più 38 miliardi a giugno).
Ma a determinare il risultato è un vero e proprio crollo delle importazioni, diminuite nello stesso mese del 12,5% a causa della sempre più debole domanda interna. Le esportazioni sono diminuite invece del 4,4%. Le esportazioni verso gli Stati Uniti, primo mercato per la Cina, sono scese del 2% a luglio, mentre quelle verso l’Unione Europea, secondo mercato, sono calate del 3,2%. E le previsioni sono per un ulteriore calo verso il mercato Ue, a causa del reflusso della Brexit (l’uscita di Londra dalla comunità europea). Le importazioni cinesi dagli Stati Uniti sono scese del 23,2%.
Nei primi sette mesi dell'anno l'export cinese segna dunque un calo del 7,4%, mentre le importazioni sono diminuite del 10,5%. Nonostante gli sforzi di Pechino, sembra non decollare il settore interno: l’esecutivo ha più volte chiarito che gli “squilibri e le incertezze” dei mercati internazionali si possono battere “soltanto grazie al formidabile popolo cinese”, ma sembra che queste siano rimaste parole.
Esperti interni ed esteri sottolineano infatti “l’inutilità” di puntare sulla domanda interna quando sia i salari che in generale il mondo del lavoro non vengono tutelati dall’esecutivo. Salvaguardare sempre gli investitori e mai i lavoratori, ripete un economista di Morgan Stanley, “può essere utile a un party ma non aiuta un’economia che ha bisogno di stipendi regolari e diritti validi per tutti. Senza questi, nessuno spende”.