Ciclone in Kerala, mons. Pakiam: un disastro. Trovare presto le risorse
Attivata la macchina del soccorso, mentre le autorità statali arrancano “per negligenza”. Un incontro con il governatore per definire programmi di sostegno di breve e lungo periodo. Non ci sono numeri precisi degli sfollati “perché la devastazione è senza precedenti”.
Trivandrum (AsiaNews) – In Kerala “le persone piangono e si disperano. Hanno perso tutto ciò che possedevano. La situazione è drammatica. La popolazione è in attesa dei pescatori dispersi e spera che essi possano in qualche modo tornare a casa”. Lo afferma ad AsiaNews mons. Maria Calist Soosa Pakiam, arcivescovo di Trivandrum. Egli parla degli effetti devastanti del ciclone Ockhi che ha colpito gli Stati del Kerala e del Tamil Nadu, nella parte meridionale dell’India e lamenta una colpevole “negligenza” da parte delle autorità. Ieri ha incontrato il governatore del Kerala, cui ha chiesto di portare aiuto nel più breve tempo possibile. “Abbiamo stilato un elenco delle iniziative di breve e lungo periodo. Dobbiamo trovare le risorse per fronteggiare questa emergenza”, aggiunge con voce accorata.
Lo scorso 29 e 30 novembre forti raffiche di vento si sono abbattute sulla costa meridionale del Paese. Nel momento in cui è arrivato il ciclone, riferisce mons. Pakiam, “più di 2mila pescatori erano impegnati in battute di pesca in mare aperto”. Stando alle cifre più aggiornate, “il disastro ha fatto 86 vittime nel distretto di Kanyakumari (Tamil Nadu) e altre 38 in quello di Trivandrum (Kerala). Attrezzature ittiche per miliardi di rupie sono andate distrutte e moltissime case abbattute. Circa 100 famiglie hanno trovato rifugio nei centri di riabilitazione gestiti dalla Chiesa”. “Purtroppo però non abbiamo numeri precisi di quanti sono accampati in centri di fortuna, perché quanto avvenuto è senza precedenti”.
Data la portata della devastazione, l’arcidiocesi “ha subito attivato sacerdoti e consigli pastorali delle parrocchie per distribuire materiale di prima assistenza, cibo e bevande. Ha creato un gruppo per visitare i villaggi più colpiti e accertare la gravità dei danni. Abbiamo anche raccolto soldi da tutte le parrocchie e da varie associazioni della società civile”.
L’arcivescovo denuncia “il fallimento dei governi locale e centrale, che non hanno diffuso messaggi di allerta, nonostante le condizioni meteorologiche fossero chiare. Anche le operazioni di soccorso sono iniziate con notevole ritardo”. “Sono stati gli stessi pescatori – lamenta – ad avventurarsi di nuovo in mare alla ricerca dei compagni dispersi. Hanno portato in acqua almeno 40 barche, nonostante iniziassero a svanire le speranze di ritrovare ancora in vita qualcuno dei naufraghi”.
Per far fronte a tutto ciò, nell’incontro con il governatore, egli ha suggerito l’adozione di due programmi, sia a breve che a lungo termine. “Per le azioni a breve termine – afferma – vogliamo fornire assistenza medica ai feriti e a coloro che sono ricoverati in ospedale; consulenza terapica alle vedove e ai bambini; sostegno emotivo alle persone recuperate vive dalle acque del mare, che manifestano paura e traumi. Inoltre dobbiamo distribuire cibo e materiale di primo soccorso nei campi di rifugio, essere una presenza costante e visitare con regolarità le famiglie afflitte dall’emergenza, prenderci cura dei bambini che hanno perso uno dei genitori”.
Per le iniziative a lungo termine, continua l’arcivescovo, “proponiamo l’acquisto di terreni; progetti abitativi; la riabilitazione degli sfollati; fornire istruzione ai bambini rimasti orfani; aiutare le vedove a trovare lavoro; educare i pescatori all’uso di sistemi di Gps in mare e ad altre misure di sicurezza durante la navigazione; procurare attrezzature a coloro che hanno perso barche e reti”.
A sostegno dei pescatori, riferisce, l’arcidiocesi ha organizzato una marcia di protesta lo scorso 11 dicembre per chiedere che il ciclone sia classificato come “disastro naturale”, e una giornata di preghiera il giorno prima “per ricordare le anime dei defunti, nella speranza di un sicuro ritorno a casa dei dispersi. Ci consola molto che anche il Santo Padre papa Francesco ci abbia ricordato nelle sue preghiere”.
Mons. Pakiam lamenta: “I pescatori che vivono in quest’area sono molto poveri. Perciò di continuo vengono ignorati dalle autorità. Il fallimento della macchina organizzativa nel decretare l’allerta, così come quello delle operazioni di recupero, mostrano l’atteggiamento discriminatorio dei funzionari. Se quelli che sono andati dispersi in mare fossero stati ricchi, le autorità avrebbero agito in maniera diversa. È triste notare che la vita di questi pescatori valga così poco per tali persone”. Infine riporta di aver ricevuto “la promessa da parte del governo che riceveremo tutto l’aiuto possibile, sia per le vittime che per i feriti. Chiediamo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi a noi”.